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+   +  +      San Bernardo di Chiaravalle     +  +  +

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[ Etimologia: dal germanico 'berno', orso e 'hardhu', duro e valoroso; Bernardo: forte come un orso] – [bernardo m., -one, tosc.; sciocco, a Lucca bennardo; cfr. a fr. bernart, prov mod bernat scempio, sciocco; dal n. pr. Bernardo; cfr 'bastiano' e 'bernarda'. – Carlo Battisti e Giovanni Alessio, G.Barbèra editore, Dizionario etimologico italiano, 1968 - Firenze Università degli Studi, Istituto di Glottologia vol. I, p 495]

 

 

 

"Troverai più nei boschi che nei libri.

Gli alberi e le rocce ti insegneranno

cose che nessun maestro ti dirà."

 

 

            - RELIQUIE ESISTENTI NELLA CHIESA PRIMAZIALE. [1]

 

            Primieramente in questo Santo Tempio vi è una parte del Legno della Santissima Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, che a preghi di S. Bernardo l'anno 1139. Corrado II. Re de'Romani donò a Balduino Arcivescovo di Pisa – Il Crocifisso che nel 1099 era sulla cima dello stendardo che guidava le truppe della repubblica presenti al grande acquisto di Gerusalemme. Il qual Crocifisso come dicono gli Annalisti giratosi in mano dell'Alfiere Cuocco Ricucci, si voltò miracolosamente verso dei combattenti, dicendo ad alta voce – SEGUITATE CRISTIANI CHE AVETE VINTO -.

 

 

    ê San Bernardo: vita dellultimo padre del Medioevo.

 

         San Bernardo di Chiaravalle o San Bernardo abate è il nome con cui oggi in Italia è chiamato Bernard de Fontaines (1090 - 1153); fondatore della celebre abbazia di Clairvaux [2] in Francia (presso Digione) e, tra le altre, anche della Certosa di Chiaravalle a Milano. Appartenente all'ordine dei Cisterciensi [3] tale da esserne considerato il padre maggiore. Fu teologo e mistico, canonizzato il 18 gennaio 1174 da papa Alessandro III, è dichiarato dottore della Chiesa da Pio VIII nel 1830. San Bernardo è celebrato il giorno 20 agosto nel calendario romano.

         Bernardo de Fontaines nasce da una nobile famiglia nel 1090 a Fontaines-le-Dijon, villaggio a 2 km da Digione, in Francia, terzogenito (di sette figli) di Aletta, figlia del potente feudatario borgognone Bernardo di Montbard e di Tescelin, uno dei più importanti vassalli del duca di Borgogna.

         Viene educato alla scuola dei canonici di Saint-Vorles a Châtillon-sur-Seine, dove apprende la disciplina del trivium. Nel 1111, dopo la morte della madre, entra, accompagnato da una trentina tra parenti e amici, nel monastero di Cîteaux. Appena 4 anni dopo, nel 1115, all'età di  25 anni viene mandato a fondare un altro monastero, a Clairvaux [4] , campagna disabitata, che diventa presto la 'Clara Vallis' sua e dei monaci. Viene nominato abate di Clairvaux e poco dopo consacrato abate e sacerdote da Guglielmo di Champeaux vescovo di Châlons-sur-Marne.

         Bernardo rimane lontano dalla vita pubblica fino al 1127, quando per la prima volta interviene in vicende esterne all'ambiente monastico; è a proposito della lite tra Luigi VI, re di Francia, e Stefano di Senlis, Arcivescovo di Parigi circa la sostituzione del Capitolo [5] di Notre-Dame. Negli anni successivi, 1130-1138 [6] , nello scisma contro Pietro de Pierleoni, nominato papa con il nome di Anacleto II, Bernardo si schiera a favore di Innocenzo II [7] , al tempo Gregorio Papareschi, e durante questo periodo (1132-1138) compie almeno due viaggi in Italia [8] (anche se probabilmente sono di più [9] ). Sicuramente in occasione di questi viaggi visita Pisa e secondo alcune leggende proprio in Val Graziosa nel 1134 scrive la nota preghiera 'Salve Regina'.

         Per tutti questi anni Bernardo attacca duramente la dottrina trinitaria di Gilberto Porrettano, vescovo di Poitiers e denuncia e fa condannare alcune proposizioni di Pietro Abelardo, docente di teologia e logica a Parigi, da lui ritenute contrarie alla fede [10] .

         Il 4 aprile del 1139 il concilio Laterenense II pone fine allo scisma di Anacleto II. Il 18 novembre 1145 un discepolo di Bernardo, Bernardo dei Paganelli,  nato a Montemagno di Calci, già abate del monastero cistercense delle Tre Fontane "Ad Aquas Salvias" a Roma, viene eletto papa con il nome di Eugenio III (anche lui diventerà un'altro San Bernardo; da Pisa [11] ). Il 1 marzo del 1146 Eugenio III indice una crociata, la seconda [12] , e incarica Bernardo della sua predicazione in Francia, Baviera, Germania e Fiandre. Lo scopo è di reclutare nuovi adepti che accettino il nobile e sacro compito di proteggere, in Terrasanta con le armi, i pellegrini e i loro beni lungo le pericolose strada tra Jaffa, dove questi approdavano sulla costa palestinese, e Gerusalemme. Grazie alla predicazione fatta da Bernardo e insieme a lui e ad altri il suo amico e conterraneo Ugo di Payns, considerato fondatore del gruppo dei primi nove cavalieri templari, i "Poveri Cavalieri di Cristo" poi "Poveri Cavalieri del Tempio", il numero dei cavalieri crociati cresce rapidamente. La storia ricorda che nel 1148 i crociati vengono disfatti in Terrasanta, sotto le mura di Damasco; il 7 maggio 1150 il concilio di Chartres conferisce a Bernardo il comando di una nuova crociata. L'incarico gli viene confermato il 19 giugno da Eugenio III ma ben presto il progetto viene abbandonato.

         Sofferenti gli ultimi anni di vita dell'abate: le difficoltà nella gestione dell'ordine, la diffusione delle eresie in Europa e la sofferenza fisica lo accompagnano fino al 20 agosto 1153, giorno in cui l'abate Bernardo da Chiaravalle muore. La descrizione della sua malattia fa pensare che la sua morte sia causata da un tumore allo stomaco. Il corpo viene seppellito nella chiesa del monastero di Clairvaux, ma nel 1789 con la Rivoluzione francese le spoglie del Santo vanno disperse, tranne la testa, oggi conservata nella cattedrale di Troyes, nella regione della Champagne-Ardenne.

 

 

 

   ê SanBernardo: il teologo e lo scrittore.

 

 

         Bernardo prende i voti in un momento storico in cui la chiesa sta vivendo grosse divisioni interne, numerosi scismi ed eresie, e per buona parte della propria esistenza percorre l'Europa con l'intento di ristabilirne la pace e l'unità, scagliando, contro l'incolto continente, i suoi mitici dissodatori, apostoli con la zappa, monaci che danno ordine alla terra e alle acque, e gli animali, cambiando, con fatica e preghiera, la storia dell'intera europa.

            Difensore rigoroso di una fede essenziale, senza orpelli, Bernardo appare sempre severo. Rimprovera spesso i monaci di Cluny, a proposito della povertà nella Chiesa: sono 'troppo levigati', con chiese troppo adorne, "mentre il povero ha fame". Ai suoi cistercensi Bernardo chiederà spesso meno funzioni, meno letture ma tanto lavoro.

            Scrive moltissimo e soprattutto di teologia e di mistica; a giudizio della storia, il prestigio del suo nome lo pone tra i principali artefici del rinnovamento spirituale del XII secolo. La produzione teologica e letteraria di San Bernardo è ampia e di grande talento, uno stile brillante e accurato: particolare l'abilità dell'abate di Clairvaux di trovare sempre efficaci forme letterarie e preziosi giochi linguistici per esprimere il proprio pensiero.

Numerose le lettere scritte dall'abate e giunte a noi: 534 in numero, costituiscono un'importante testimonianza dell'attività, del carattere, delle riflessioni, delle decisioni del santo [13] .

Legati alle vicende della vita del santo sono i testi nati in alcune occasioni particolari, tra questi da ricordare: il Liber de gradibus humilitatis et superbiae [14] (1118-1125, scritto su richiesta di Goffredo della Roche-Vanneau, cugino di Bernardo, entrato insieme a lui a Cîteaux e, sempre con lui, uno dei primi monaci trasferitisi nel 1115 nella nuova fondazione di Clairvaux). L'Apologia ad Guglielmum abbatem (1121-1125) chiarisce la propria visione dei rapporti tra Cluniacensi [15] e Cistercensi ed esorta a vivere i valori fondamentali della vita monastica

Il Liber ad milites Templi de laude novae militiae (1129-1135), elogio della nuova milizia, scritto su richiesta di Ugo di Payns [16] .

Da ricordare anche gli scritti su Maria madre di Gesù, che lui chiama mediatrice di grazie (a tal proposito, l'abate non riconosce la dottrina dell'Immacolata Concezione).

In Teologia Bernardo non ha un sistema compiuto, tuttavia può essere considerato il padre della mistica occidentale cristocentrica. Egli fu un contemplativo e la sua accentuata tendenza mistica fu soprattutto ostile al razionalismo di Abelardo. Secondo il suo pensiero tre sono le vie per elevarsi a Dio: la vita pratica, la vita contemplativa e la vita estatica, estasi che bernardo definisce 'excessus mentis', in cui anima e Dio si fondono 'come una piccola goccia di acqua caduta nel vino si dissolve e ne assume il colore ed il sapore'.

Combattè con la stessa energia Abelardo, Arnaldo da Brescia e gli eretici delle sponde del Reno. Intransigente contro i nemici della Chiesa, ebbe però il coraggio di denunciare gli abusi che la mettevano in pericolo e indirizzò al Papa Eugenio III, suo discepolo, energici avvertimenti. Come scrittore ci ha lasciato trattati di spiritualità, liturgici, dogmatici e polemici: De Contemptu Dei, De Diligendo Dei, Contra quaendam capitulia errarum Abelardi e il De gratia et libero arbitrio.

         Tuttavia il genere letterario più congeniale e più frequentemente usato da Bernardo sembra essere il sermone, probabilmente poichè questa forma letteraria si presta alle consuetudini della vita monastica. Oltre ai 125 sermoni De diversis, Bernardo si dedica per tutta la vita alla scrittura dei 128 sermoni liturgici, in cui, seguendo il calendario liturgico, affronta uno per uno tutti i temi fondamentali della fede cristiana. Scrive inoltre 86 sermoni di commento al Cantico dei Cantici, i 'Super Cantica Canticorum', che iniziati a scrivere nel 1135, sono considerati il capolavoro del santo. Il Cantico dei Cantici, è uno dei libri della Bibbia. Il nome significa Cantico per eccellenza ed è un poema con due personaggi principali: lo sposo e la sposa. L'interpretazione letterale considera il Cantico come canto d'amore, mentre l'interpretazione allegorica sostiene che il poema descrive le relazioni di Jahvè con il suo popolo (secondo la tradizione ebraica) e dopo l'avvento di Cristo, le nozze mistiche di Cristo con la sua Chiesa (secondo la tradizione cristiana), o, come sostiene Bernardo e altri teologi, le nozze di Cristo con l'anima dei credenti .

 

 

 

                  ê San Bernardo e i Templari

 

                   Nel 1128 Bernardo, dopo aver fondato Chiaravalle e altre abbazie, comincia a interessarsi anche di affari pubblici. Dapprima sostiene l'Arcivescovo di Parigi contro il Re di Francia Luigi il Grosso poi appoggia energicamente Ugo di Payns, creatore dell'Ordine dei Templari, venuto in occidente per raccogliere adesioni e incaricato di redigere gli statuti dell'ordine dal Concilio di Troyes (1128), facendo ottenere il riconoscimento ufficiale dell'ordine. L'ordine religioso-cavalleresco dei Templari era stato fondato nel 1119 a Gerusalemme con lo scopo precipuo di attendere alla protezione dei pellegrini in Terrasanta, contro gli attacchi degli infedeli. Dapprima i suoi membri avevano assunto il nome di 'Poveri cavalieri di Cristo' e avevano adottato la regola di San Benedetto.

San Bernardo ispira la regola che rivoluziona il concetto di cavalleria così come il Medioevo lo aveva sino ad allora concepito. L'abate, per la prima volta nella storia, riesce a conciliare due attività ritenute fino a quel momento incompatibili, quella militare e quella religiosa [17] . Proprio la separazione dei due ordini, religiosi e militari, era stata alla base dell'allora recente diatriba tra clero e monarchia, diatriba che aveva scosso l'intera struttura politica medievale. I riformatori della chiesa avevano deciso di impedire agli uomini le cui mani si fossero macchiate di sangue, di toccare gli oggetti sacri, anche nel caso di nobili cavalieri pentiti e che in età matura si votassero alla vita monastica, i religiosi, che erano vissuti in monastero sin dall'infanzia erano spesso riluttanti a riservare loro una buona accoglienza. La vita di un nobile medievale era infatti solitamente dedita all'aggressione, all'arroganza e allo spargimento di sangue. Tutto nel nome del proprio lignaggio. Egli poteva però cercare di mitigare tale condotta fondando chiese o monasteri o addirittura abbracciando lui stesso la vita monastica; ma tutto sommato i nobili guerrieri disdegnavano o, nella migliore delle ipotesi, disprezzavano i chierici, ed erano ben lontani dal prenderli come esempio.

         La concezione odierna di cavaliere, influenzata dall'idealistico lustro propostoci dai Romantici, vede un'armonia tra spada e altare; un'altra è la concezione nella realtà medievale. Lungi dall'idealizzare la cavalleria, i capi religiosi generalmente dipingevano la vita del cavaliere come sregolata, licenziosa e sanguinaria. Al clero era assolutamente vietato spargere sangue, e combinare la vita di un soldato attivo che uccide e saccheggia, con la vita di un monaco, significava andare contro i principi fondamentali dell'organizzazione della società fino a quel momento. I compagni di Ugo di Payns, appoggiati da Bernardo, raccolgono l'impossibile sfida di conciliare onore e fede.

         Baldovino II, re di Gerusalemme, aveva ospitato i monaci-soldati in una sala del suo palazzo, nei pressi dell'antico Tempio di Salomone. Nel 1120 Baldovino trasferisce però la residenza reale nella Torre di Davide, più facile da difendere e da fortificare, e lascia a disposizione dei Templari il suo ex palazzo; qui si installa la Casa madre e i Poveri cavalieri di Cristo prendono il nome di Miles Templi, Templari. I Templari non esistono ancora istituzionalmente, non hanno nè un abito nè una regola propria e la loro condizione di monaci-soldati suscita i sospetti degli ecclesiastici e richiama le prime critiche e addirittura le insolenze dei chierici; in oltre, per far prosperare il Tempio e soprattutto perchè il reclutamento non rimanga un fenomeno locale, bisogna coinvolgere l'Occidente e soprattutto ottenere l'approvazione Pontificia. Questo, col bisogno impellente di truppe addestrate in Terrasanta allenta probabilmente quelle necessità di avere solidi principi morali per poter entrare nell'Ordine. In Terrasanta, oltre ai Poveri Cavalieri, il Tempio accetta anche altre figure, che si ingaggiano per un periodo predeterminato di permanenza. Al di sotto del rango dei cavalieri del Tempio (il cui numero si mantiene sempre limitato, nel corso di tutta la vita dell'Ordine al massimo si superano di poco le 300 unità), esiste un'altra classe di "sergenti" (o fratelli attendenti, armati e dotati di una quasi identica cavalcatura ma che indossano mantelli marroni o neri. anzichè bianchi). In oltre, come nella normale gerarchia della società feudale, si introducono gli scudieri e anche i fratelli rurali (frères casaliers) che aiutano a condurre le proprietà terriere, e i fratelli di mestiere (frères de métier) cui sono affidate le più umili mansioni della casa, comprese quelle di curarsi della stalla, della fucina del fabbro e della rimessa degli attrezzi. Coloro che si fregiano del titolo di Poveri Cavalieri di Cristo, hanno quindi i mezzi per mantenere e remunerare dei servi.

         Il 14 gennaio 1128, giorno di sant'Ilario, come specifica il segretario Giovanni Michiel incaricato di redigere il verbale, nella cattedrale di Troyes, vicino al paese d'origine dell'abate, si tiene un Concilio ecclesiastico cui partecipano vescovi e abati francesi e borgognoni, un legato pontificio e lo stesso Bernardo di Chiaravalle [18] . Col Concilio di Troyes la Chiesa accoglie i Templari come una corporazione di uomini religiosi già  sottoposta alle leggi ecclesiastiche. Il Concilio regolarizza l'Ordine del Tempio all'interno della chiesa e affida a Bernardo di Chiaravalle il compito di redigere il testo della nuova regola.

         La Regola data ai Templari a Troyes è in pratica un adattamento degli usi già praticati dai Cavalieri del Tempio durante i primi nove anni della loro esistenza. Bernardo mantiene nella sua integrità originaria il testo del dispositivo templare, che redatto in latino, riproduce frasi intere della Regola di San Benedetto e in questa nuova forma si ispira ai principi della Riforma Cistercense. Comprende, oltre al prologo, sessantotto articoli ed esordisce con un appello ai doveri religiosi dei Templari [19] . V è poco di nuovo rispetto alle norme iniziali, ma ora la Regola rende ufficiale la confraternita e le conferisce il diritto di risquotere le decime e di possedere non solo proprietà terriere, ma anche feudi.

         Il templare proposto da Bernardo assume, in questo contesto, una fisionomia sociale che riunisce in sé i tratti di un crociato "permanente", oltre a quelli di un monaco vero e proprio: una milizia inedita, guerresca e monacale al tempo stesso: un monaco combattente, chiamato a conciliare vocazione religiosa ed esercizio delle armi al fine di combattere lo spirito del male e "gli avversari di carne e di sangue". Amor di Dio e spargimento di sangue [20] .

         Nel 1147, alla vigilia della seconda crociata, a Parigi si tiene un capitolo generale di 130 Templari alla presenza del papa e del re, che nel 1148 assegna ai cavalieri, come segno distintivo, un mantello bianco con croce rossa. L'ordine riceve migliaia di proprietà terriere grandi e piccole, inizialmente in Inghilterra, Francia e Spagna, poi in gran parte dell'Europa. Presto dovette essere messa a punto una vasta organizzazione che servisse non solo al reclutamento di nuovi membri dell'Ordine, ma anche per l'amministrazione di cospicui patrimoni e per l'invio di denaro e rifornimenti in Terrasanta.

         In breve tempo questo trasferimento di fondi conferisce agli appartenenti all'Ordine un nuovo ruolo, quello di banchieri. Non solo per se stessi ma anche per conto terzi. Al momento in Europa non esiste ancora un sistema di deposito bancario, nè se ne svilupperà alcun'altro per oltre un secolo. Il deposito e la trasmissione dei fondi dà così ai Templari una nuova e imprevista importanza agli occhi dei principi feudali e chierici. Enrico II d'inghilterra usa i Templari nella scura operazione con cui carpisce il Vexin ai Capetingi e si giova, inoltre, dei servigi del Maestro templare, allora inglese, nell'affare Becket, persuadendolo ad andare a supplicare in ginocchio l'arcivescovo affinchè accondiscendesse alle richieste del re e accettase la Costituzione che Enrico in vano aveva cercato di imporre alla chiesa inglese di Claredom. Persuasioni che l'arcivescovo accoglie. Sotto re Giovanni il Maestro inglese è un militare regio ed è presente alla firma della Magna Charta. Dall'inizio del XIII secolo in poi il Tempio di Parigi è in realtà il tesoro della Corona francese, e solo un decennio prima del defiitivo crollo dell'ordine, nel 1295, la Corona francese si procura una tesoreria alternativa. La Corona inglese dipende invece con minore assiduità dai finanzieri templari, ma se ne serve, e sotto Enrico III d'Inghilterra un fratello templare è nominato guardarobiere del re, titolo che gli conferisce la gestione delle principali spese correnti. I Templari svolgono lo stesso tipo di funzioni finanziarie anche per i papi ma con un ruolo diverso poichè I papi hanno già i propri ben qualificati specialisti in materia di denaro. Il più prodigo di tutti i papi nel concedere privilegi all'Ordine dei Templari è il senese Alessandro III. Sembra perchè aveva dovuto chiedere loro del denaro in prestito. Cavalieri dell'Ordine fanno spesso parte delle guardie del corpo e degli intimi del papa e quando lo sventurato papa Bonifacio VIII viene assalito dalle truppe del re di Francia ad Anagni, nel 1303, gli erano a fianco i suoi attendenti tempalri e ospedalieri.

         E' probabilmente la familiarità coi principi a rendere così ben accetto e influente nella società feudale il corpo dei Templari [21] . Anche se il reclutamento tra l'alta nobiltà non fu molto significativo, Bernardo non si era sbagliato troppo nello stigmatizzare la classe dei cavalieri in Terrasanta come costituita da uomini che in gran parte si erano macchiati di gravi crimini. Gli appartenenti all'alta nobiltà potevano mondare i propri peccati fondando monasteri, la piccola nobiltà doveva invece mondarli personalmente [22] .

         Nel 1307 Filippo il Bello, con l'intenzione di impadronirsi delle ricchezze dell'Ordine, decide di distruggerlo e induce il papa Clemente V a iniziare un'inchiesta su di essi; poi senza attendere il giudizio del Pontefice, fa arrestare di sorpresa 138 Templari. Con il concorso dell'Inquisizione, furono interrogati e costretti sotto tortura a confessare una serie di crimini. Clemente V protestò contro la condotta del re e l'irregolarità del processo, ma ben presto cedette alle pressioni di Filippo il Bello per cui i processi continuarono e molti Templari morirono sotto tortura o sul rogo. Nel 1131, nel concilio di Vienna la colpevolezza dei Templari non viene riconosciuta ma il papa decide la soppressione dell'Ordine (1312). Filippo il Bello si impadronisce dei beni mobiliari dell'Ordine e cede quelli immobiliari agli Ospitalieri , dopo averne ricavato il massimo guadagno.

 

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         Diffusione del culto in Italia: l'elenco delle chiese parrocchiali a lui attualmente intitolate nella nostra nazione, per quanto significativo, non è per se un indizio del tutto sufficiente per valutare il grado di diffusione del suo culto e va perciò preso con una certa cautela: si dà infatti il caso di località in cui san Bernardo è festeggiato come patrono, senza che a lui sia intitolata la chiesa parrocchiale [23] . Inoltre ci furono in passato chiese molto importanti che non diventarono mai parrocchiali; d'altra parte quasi tutte le chiese intitolate a san Bernardo sono diventate parrocchiali in epoca relativamente recente, mentre in passato furono soltanto cappelle di piccole frazioni rurali, intitolate al santo per ragioni talvolta molto estrinseche come, per esempio, il fatto che il fondatore od il principale benefattore della chiesetta in questione portasse il nome di Bernardo. Non sempre inoltre è facile distinguere se il primitivo titolare sia stato san Bernardo di Chiaravalle o il più antico Bernardo d'Aosta, che lungo l'arco alpino godette e gode tuttora di un certo culto. In qualche caso sembra che l'abate di Chiaravalle abbia sostituito, per ignoranza o per dimenticanza, il popolare fondatore dell'Ospizio del Monte Bianco, che ha dato il nome a due celebri passi alpini [24] .

 

A testimonianza della grande fortuna agiografica goduta da san Bernardo in Italia già nei secoli XIII e XIV, il suo inserimento con un lungo e profondo profilo biografico nella Legenda aurea di Jacopo da Varrese (1230-1298), il posto attribuitogli da Dante nel Paradiso, dove Bernardo appare come il dottore mistico per eccellenza e il maestro della devozione mariana, nonché il fatto che, negli stessi anni in cui Dante scriveva la sua Commedia e in quella stessa Toscana, il nobile senese Giovanni Tolomei, facendosi monaco, sceglieva per sé il nome di Bernardo col chiaro intento di prendere il santo abate di Clairvaux a modello di vita monastica e di devozione alla Madonna. [..] dal momento che un rapido censimento delle chiese parrocchiali a lui intitolate attualmente in Italia [25] dimostra chiaramente che questo culto si va facendo sempre più scarso man mano che si scende dalle Alpi verso gli Appennini per poi sparire quasi completamente nell'italia meridionale ed insulare [26] .

         [..] pur essendo l'Italia settentrionale la zona più larga di diffusione del culto bernardino, in totale vi si contano – prima della riforma del 1986 – appena poco più di cento parrocchie di cui san Bernardo era titolare o contitolare, così distribuite secondo le regioni ecclesiastiche: Liguria (che tramite le diocesi di Tortona si estende anche in Piemonte e in Lombardia), 36; Piemonte, 31; Lombardia 27; Triveneto, 5; Emilia-Romagna, 3. [..] l'area di maggior espansione è quella nordoccidentale (Piemonte-Liguria), mentre quella sudorientale (Veneto e Romagna) è praticamente priva di chiese intitolate al nostro santo. Infatti delle cinque parrocchie venete, 2 sono in diocesi di Trento e 2 in quella di Verona, mentre delle tre parrocchie emiliane, 2 sono in diocesi di Piacenza e 1 in diocesi di Parma. La Lombardia partecipa invece alla notevole ricchezza propria della zona occidentale e anche all'interno di questa stessa regione si nota un decrescere del culto man mano che si va da nord a sud e da ovest a est: si sarebbe tentati di dire che il culto bernardino in Italia diminuisce con un'intensità proporzionale alla distanza geografica dalla Francia [27] .

         Il culto di san Bernardo, almeno come titolare di chiese parrocchiali e non, scompare praticamente nell'Italia meridionale e insulare, benché anche in queste regioni (Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) siano fioriti e – in qualche caso (Puglia e Sicilia) – ancora vi fioriscano alcuni monasteri cistercensi [28] .

 

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     San Bernardo õ paradiso dantesco

 

 

                   "La forma general di paradiso

                            già tutta mio sguardo avea compresa,

                            in nulla parte ancor fermato fisso;                        54

                   e volgeami con voglia riaccesa

                            per domandar la mia donna di cose

                            di che la mente mi era sospesa.                          57

                   Uno intendea, e altro mi rispose:

 

                            vestito con le genti gloriose.                                60

                   Diffuso era per li occhi e per la gene

                            di benigna letizia, in atto pio

                            quale e tenero padre si conviene."                       63

 

 

         Così, pur con le sue note tenere e blande, nello scenario epico del XXXI° canto del Paradiso, entra in scena San Bernardo; come un vecchio, pervaso gli occhi e le gote di benigna letizia, pietoso negli atti come un tenero padre, il santo mistico, il fervente apostolo del culto di Maria sottentra nell'ufficio di guida del poeta, per aiutarlo a percorrere l'ultimo tratto del suo viaggio, ad innalsarsi alla visione suprema della Divinità. Dopo questi versi la Commedia continua con Dante che, esortato dal santo, leva gli occhi, il cui acume si è rinvigorito miracolosamente, fino al più alto dei cerchi di troni luminosi; e là vede un punto che vince di fulgore gli altri e intorno al quale si affollano più di mille angeli festanti: in quel lume è un'immagine di bellezza che si riflette in letizia negli occhi di tutti I beati. E' la Vergine : a contemplar la quale anche San Bernardo si rivolge con tanto affetto (questo fa anche gli occhi del poeta di "rimirar più ardenti"). É sempre San Bernardo che illustra al poeta la disposizione della Candida Rosa [29] , è sempre lui che mostra a Dante l'amata Beatrice e che invoca l'intercessione della Madonna [30] affinchè al ghibellin fuggiasco sia elargita tanta grazia di virtù da renderlo capace di innalzarsi alla visione piena di Dio ("ficcar lo viso per la luce eterna" e congiungere il suo sguardo con il "valor infinito"), esaltante esperienza del poeta, di tutte le sue facoltà intellettuali e delle sue energie volitive che lo rende 'insufficiente ad esprimersi con umane parole'.

 

 

 

 

 

 

ø Bernardo di Chiaravalle a Pisa

 

 

 

         'San Bernardo da Chiaravalle a Pisa fece in regalo dei legni della croce di Cristo', così riporta, nel 1650, Giuseppe Setaioli nella Historia della città di Pisa: "ai Pisani lasciò di loro questa perpetua memoria per l'affetto de quali testificò ancora il medesimo nel gran dono che fece alla Chiesa Pisana del legno della Santa Croce Tesoro il maggiore che racchiuda in sè la città di Pisa venendo da mani di cui non si può dubitare havendo hauto S. Bernardo si stretta amicitia con molti potentati della Cristianità". Secondo Setaioli, fino al 1650 Pisa conservava una reliquia della croce di Cristo, dono di Bernardo da Chiaravalle [31] .

 

        

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LETTERA DI S. BERNARDO AI PISANI [32] - [1135]

 

 

LETTERA 130

Ai Pisani.

 

            Pisa era stata sempre fedele a Innocenzo II e l'aveva aiutato assai più di Genova, offrendogli una totale disponibilità e diventando così per qualche anno il centro della cristianità : « Assumitur Pisa in locum Romae ». San Bernardo la elogia anche per la guerra che ha condotto contro Ruggero II, confondendo però gli scopi politici con quelli religiosi, esaltando smacchi e scaramucce come gesta epiche. Ma il fatto di combattere contro l'alleato di Anacleto, per Bernardo assume il significato di un sostegno dato a Innocenzo. L'accenno alla resistenza dei Pisani « alla milizia del re siculo », cioè a Ruggero II, credo che si debba riferire alla spedizione di una ventina di navi (secondo Falcone Beneventato) nel luglio del 1135, conclusasi con un disastro nell'agosto successivo [33] . Gli elogi di san Bernardo a Pisa sono accompagnati dall'esortazione alla fedeltà al papa e ai suoi cardinali ospiti nella città (mundi principes qui in te sunt). Per garantire questa fedeltà, Bernardo nel 1137 consentì che fosse eletto arcivescovo di Pisa il suo segretario Baldovino, al quale nella lettera 505 [34] raccomanda una condotta del tutto limpida, e di pretenderla anche dai propri dipendenti, per non dar adito di attacchi di nessun genere (cfr. Zerbi, op. cit., pp. 32-3). La particolare attenzione ed affezione a questa città benemerita del papa, Bernardo la dimostrò anche nel 1139 chiedendo all'abate di Ebrach di ottenere da Corrado III la conferma dei diritti e dei possessi di Pisa (cfr. San Bernardo Opere VI/2, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, pp. 732-33, lettera 542).

Sulla fine della lettera 130, bernardo raccomanda ai pisani Engelberto, marchese d'Istria e figlio del duca di Carinzia, inviato da Lotario come proprio rappresentante in Toscana [35] .

 

 

 

EPISTOLA CXXX

 

Ad Pisanos

 

            Pisanos laudat ob studium et favorem erga Innocentium Papam, qui Roma per

Antipapam Anacletum occupata exsul Pisas concesserat.

 

5                     Pisanis nostris consulibus cum consiliariis et civibus universis, Ber-

nardus, abbas dictus de Claravalle: salutem et pacem et vitam aeternam.

                        Benefacit vobis Deus, et menimerit fidelis servitii et piae compas-

            sionis et consolationis et honoris, quae sponsae filii eius in tempore

            malo et in diebus afflictionis suae exhibuistis et exhibetis. Et quidem

10         hoc iam impletur ex parte et orationis huius nonnullus capitur fructus.

            Digna plane retribuito celeri iam compensatur effectu. Iam pro meritatis

            Tecum actitat Deus, POPULUS QUEM ELEGIT IN HEREDITATEM SIBI,

                  omnino POPULUM, ACCEPTABILEM, SECTATOREM BONORUM OPERUM.

                  Assumitur Pisa in locum Romae, et de cunctis urbibus terrae ad Aposto-

15         licae Sedis culmen eligitur. Nec fortuito sive humano contigit istud

            consilio, sed caelestiprovidentia et Dei benigno favore fit, qui diligen-

tes se diligit, qui dixit christo suo Innocentio: « Pisam inhabita, et ego

benedicens benedicam ei. HIC HABITABO, QUONIAM ELEGI EAM. Me

auctore, tyramni Siculi malitiae Pisana constantia non cedit; nec minis

20         concutitur, nec donis corrumpitur, nec circumvenitur dolis ». O Pisani,

Pisani, MAGNIFICAVIT DOMINUS FACERE vobiscum, FACTI SUMUS LAE-

TANTES. Quae civitas non invidet? Serva depositum, urbs fidelis, agno-

Sce gratiam, stude praerogativae non inveniri ingrata. Honora tuum et

universitatis Patrem, honora mundi principes, qui in te sunt, et iudices

25         terrae, quorum te praesentia reddit illustrem, gloriosam, famosam. Alio-

quin si ignoras te, o pulchra inter civitates, egredieris post greges soda-

lium tuorum pascere haedos tuos. Sapientibus sat dictum est. Commendo

vobis marchionem Engelbertum, qui domino Papae et amicis eius mis-

sus est in auditorium: iuvenis fortis et strenuus, et, si non fallor, fidelis.

30             Habetote eum nostris precibus magis commendatum, quia et ego ei vos

Amplius commendare curavi, monuique ut vestris potissimum consiliis

Innitatur.

     

 

 

LETTERA 130

 

Ai Pisani

 

Loda i Pisani per lo zelo e il favore manifestati a papa Innocenzio, che, essendo

stata Roma occupata dall'antipapa Anacleto, s'era ritirato esule a Pisa.

 

Bernardo, noto come abate di Cairvaux, augura salute e pace e vita eterna ai suoi cari reggitori di Pisa e insieme ai loro consiglieri e a tutti i cittadini.

Vi rimeriti Dio e si ricordi del fedele servizio, della compassione, della consolazione e dell'onore che con tanta pietà, nel tempo avverso, nei giorni della sua afflizione, avete fornito e fornite alla Sposa di suo Figlio. Ciò già ora è compiuto in parte, e già è raggiunto un certo frutto di questa preghiera. Una degna ricompensa è già effettuata rapidamente. Già Dio tratta con te secondo i meriti, o « popolo ch'Egli ha scelto come suo erede », indubbiamente « popolo apprezzabile, ligio alle opere buone ». Pisa è elevata al posto di Roma, e fra tutte tutte le città della terra è scelta come il seggio supremo della sede Apostolica. E ciò non accade a caso o per un intento terreno, ma per la Provvidenza celeste, per la benevola grazia di Dio, che ama chi lo ama, che ha detto al suo unto Innocenzo; «Abita Pisa ed io benedicendoti la benedirò. 'Abiterò qui perché l'ho scelta'. Col mio aiuto la costanza di Pisa non cede alla malvagità del tiranno siciliano; non è scossa da minacce, non è corrotta da doni, non è irretita da inganni ». O Pisani, Pisani, con voi « il Signore s'è compiaciuto di operare, siamo tutti gioiosi ». Quale città non vi invidia? Conserva il tuo deposito, o città fedele, riconoci la grazia, adoperati a non apparire ingrata di fronte alla distinzione che ti è stata concessa. Onora il padre della comunità dei credenti che risiede da te, onora i principi della terra, che si trovano presso di te, e i giudici del mondo, la cui presenza ti rende illustre, gloriosa, famosa. Altrimenti se non hai coscienza di te stessa, o bella fra le città, uscirai dietro le greggi dei tuoi compagni a far pascolare i tuoi capretti. Per chi è saggio bastano poche parole. Vi raccomando il marchese Engelberto che è stato mandato in aiuto al signor papa ed ai suoi amici: è un giovane forte e valoroso e, se non m'inganno, fedele. Le mie preghiere riescano a raccomandarvelo di più, perché già io ho procurato di raccomandare voi a lui e gli ho consigliato di basarsi soprattutto sui vostri consigli.

 

 

.:.

 

 

 

 

 

 

 

[img.: Il Duomo di Pisa The Cathedral of Pisa, Mirabilia Italiae Guide, Franco Cosimi Panini, Stampa Nuovagrafica, Carpi - 2007, p. 83]

- Duomo di Pisa, navatella meridionale laterale. Quinta campata. Giovan Battista Tempesti (1729-1804). La messa del papa Eugenio III (1769-1779). - La scena raffigura il momento in cui, durante, durante la celebrazione di una messa in presenza di vescovi armeni, il volto del pontefice pisano, pur in assenza di un'apertura da cui potesse spiovere la luce, fu miracolosamente investito da un raggio luminoso in cui volavano due colombe. - cfr.: Il Duomo di Pisa The Cathedral of Pisa, Mirabilia Italiae Guide, Franco Cosimi Panini, Stampa Nuovagrafica, Carpi - 2007, p. 159.

 

 

 

 

EUGENIO III [36]

(?? - 15 feb. 1145 – 8 lug. 1153)

 

 

Bernardo Pignatelli – nato a Pisa – eletto il 15 febbraio 1145 – morto l'8 luglio 1153 – sepolto in s.Pietro – beato, festa l'8 luglio.

 

 

 

         Il giorno stesso in cui Lucio II [37] morì per le ferite riportate in battaglia, venne subito eletto Bernardo Pignatelli, a quel tempo abate del nel monastero cistercense dei ss. Vincenzo e Anastasio fuori Roma [38] . Era nato a Pisa [39] da una famiglia non identificata ma certamente di umili condizioni; nel 1128 probabilmente era divenuto priore di s. Zenone e verso la fine degli anni trenta amministratore della città. Quando però incontrò l'abate Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), subendo il suo fascino si era fatto monaco in quel monastero.

         Quando Bernardo di Chiaravalle seppe della elezione del monaco pisano rimase costernato perchè i cardinali avevano scelto una persona così inesperta, che viveva chiuso in un chiostro; ma il nuovo papa, da lui incitato a intraprendere la radicale riforma della chiesa, si dimostrò più capace di quanto si potesse prevedere. Egli fu il primo cistercense a salire sul trono papale e si conservò sempre sia per l'abito che per lo stile di vita un semplice monaco.

         Non volendo riconoscere l'istituzione democratica del comune, allora dominante in Roma, che negava al papa i poteri temporali, Eugenio si fece consacrare a Farfa (40 km a nord di Roma) e pose la sua residenza a Viterbo. Finalmente svolgendo una azione coattiva contro il comune, lo costrinse ad accettare la sua sovranità feudale; nel Natale del 1145 egli era già insediato a Roma. Ben presto però il compromesso fu infranto e nel gennaio 1146 Eugenio era di nuovo a Viterbo. Mentre si trovava in quella sede, nel corso del 1145, era venuto a sapere che I Turchi avevano conquistato l'avamposto crociato di Edessa (Urfa – nella Turchia sud-orientale) (23 dicembre 1144). Egli ricevette anche una delegazione di vescovi armeni che domandavano appoggio contro Bisanzio. Incitato all'azione, l'1 dicembre 1145 spedì una bolla a Luigi VII di Francia (1137-1179) proclamando la seconda crociata [40] ; il 6 marzo 1146 la rinnovò, incaricando Bernardo di Chiaravalle di appoggiare la crociata mediante la predicazione. Frattanto egli stesso nel gennaio del 1146, passando per Pisa, si recò in Francia per dedicarsi alla predicazione della crociata. Aveva rivolto il suo appello unicamente alla Francia perchè aveva bisogno dell'aiuto di Corrado III di Germania (1138-1152) contro i romani ribelli e contro Ruggero II di Sicilia (1095-1154). Ma quaando l'eloquenza di Bernardo convinse il re Corrado a prendere la croce, il papa non potè far altro che dare, anche se controvoglia, la sua approvazione. La più imponente ed ambiziosa delle crociate si risolse in un misero fallimento; grande fu la delusione di Eugenio che si riprometteva di ottenere mediante quell'impresa la riconciliazione con la chiesa orientale. Benchè sollecitato da Bernardo non accolse i progetti per una guerra contro Bisanzio promossa da Ruggero II di Sicilia e Luigi VII nel 1150. Anche per consiglio di Bernardo Eugenio promosse con zelo la riforma e non cessò mai di lottare per elevare i livelli morali dei cierici e dei monaci. Nel periodo di maggiore affermazione tenne importanti sinodi a Parigi (aprile-giugno 1147), a Treviri (inverno 1147-1148) e a Reims (marzo 1148 [41] ). In essi oltre a essere emenati canoni riformatori, furono riesaminate questioni dottrinali come l'ortodossia dello scolastico realista Gilberto de la Porèe (1083 ca.-1154) e le visioni di Ildebranda di Bingen (1098-1179).

         Il papa intervenne vigorosamente in Inghilterra, appoggianto l'arcivescovo Tebaldo di Canterbury (1138-1161) nelle sue relazioni con il re Stefano (1135-1154) e deponendo Guglielmo Fitzherbert (s. Guglielmo di York, ?1154) dalla carica di vescovo di York. Rafforzò I legami della santa sede con l'Irlanda, nella quale costituì quattro sedi metropolitane. Nell'invito a partecipare al sinodo di Reims affermò che Cristo, attraverso s. Pietro, aveva concesso al papa la suprema autorità tanto negli affari temporali quanto in quelli spirituali. Fu per suo incitamento che Burgundio da Pisa fece traduzione latine di alcune omelie di Giovanni Crisostomo e del trattato De fide orthodoxa di Giovanni di Damasco. Tornato in Italia nel gugno del 1148 Eugenio scomunicò a Cremona il 15 luglio il riformatore radicale Arnaldo da Brescia (?1155) il quale avendo già ricevuto il perdono nel 1146, si era poi alleato con il comune romano e denunciava il papa come 'uomo di sangue'. Nel dicembre del 1149 Eugenio tornò a Roma con l'aiuto militare di Ruggero di Sicilia, ma l'atmosfera ostiule lo obbligò presto a ripartire. Eugenio cominciò allora a trattare con Corrado III – con il quale anche il comune aveva iniziato negoziati indipendenti – e fu stabilito che il re sarebbe venuto a Roma per essere incoronato nell'autunno del 1152. Corrado morì il 15 febbraio 1152. Il suo successore, Federico I Barbarossa (1152-1190), mandò ambasciatori al papa annunciandogli la sua elezione e promettendogli di proteggerlo; non chiese l'approvazione della propria nomina, ma Eugenio nella sua risposta gliela concesse.

            Malgrado alcuni attriti iniziali, nella dieta di Würzburg (ottobre 1152) fu decisa una spedizione di Federico in Italia; grazie alla mediazione degli ambasciatori tedeschi Eugenio riuscì a stipulare un patto con i cittadini romani che gli consentì infine di insediarsiprecariamente nella città. Il 23 marzo 1153 concluse con Federico il trattato di Costanza, nel quale ciascuno dei due si impegnò a garantire l'"onore" dell'altro, cioè i suoi diritti sovrani. Il papa promise al re la corona imperiale e il re giurò di non concludere patti di pace con i cittadini romani o con i Normanni senza il consenso del papa; ambedue poi promisero di non fare concessioni territoriali a Bisanzio.

            Eugenio morì a Tivoli molto prima che Federico potesse giungere a Roma. Egli ebbe la grande grazia di avere come suo fedele consigliere Bernardo di Chiaravalle; questi compose per il papa un trattato (De Consideratione) sui doveri del pontefice [42] . Alcuni aspetti della sua influenza potrebbero però essere stati esagerati. Il papa – come dichiarò egli stesso – era stato spesso costretto a servirsi dell'aiuto di Bernardo, non di rado però agì in modo indipendente da lui e in certi casi non ne tenne conto.

            Ultimo rappresentante del papato riformatore, Eugenio fu sepolto in s.Pietro accanto a Gregorio III. Egli godeva già di grande venerazione mentre era ancora vivo; ben presto furono attribuiti miracoli alla sua intercessione; Pio IX lo beatificò nel 1872 [43] . La sua festa si celebra l'8 luglio.

 

 

 

 

 

EUGENIO III, beato. [44]

 

 

            Eugenio III, beato. – Quasi nulla si sa della sua vita prima che egli, il 15 febbraio 1145, salisse al soglio pontificio. La stiriografia pontificia ufficiale del Medioevo riferisce soltanto che prima dell'elezione si chiamava Bernardo ed era stato abate del monastero romano dei SS. Anastasio e Vincenzo «ad Aaquas salvias in Trivium Fontium». Non si conoscono né la data di nascita né le tappe della sua carriera, che gli storici hanno tentato di ricostruire ricorrendo spesso a speculazioni e teorie insostenibili. I documenti permettono soltanto di stabilire con una certa sicurezza – ammesso che si possa effettivamente identificare il Bernardo dei documenti con il futuropapa – che nel 1115 era monaco e chierico e nel 1128 priore del monastero camaldolese di S. Zeno a Pisa e che poi, al tempo dell'arcivescovo Uberto (1132-1137), ricoprì, almeno dal 1135 al 1137, l'ufficio di «vicedominus» nella stessa città, per poi diventare verso la metà del 1141, forse in connessione con il soggiorno di Bernardo di Chiaravalle in Italia, abate del monastero dei SS. Anastasio e Vincenzo a Roma, restaurato e affidato da papa Innocenzio II ai Cistercensi.

 

            Secondo lo storico pisano cinquecentesco Raffaello Roncioni, E. era di origine nobile e apparteneva alla famiglia Paganelli di Montemagno (cfr. H. Gleber, pp. 179 ss.), ma quest'affermazione contrasta con l'affermazione di s. Bernardo che definì E. «homo rusticanus» (Opera, VIII, p. 114), qualifica che lascia pensare piuttosto a origini contadine o per lo meno modeste. La sua nascita a Monemagno di Camaiore è contraddetta inoltre dall'iscrizione sepolcrale in s.Pietro, dove si afferma che «Pisa virum genuit» (R.U. Montini, le tombe dei papi, Roma 1957, p.196). Qualcuno sostiene che il nome del futuro papa fosse stato Pietro, quello di suo padre Giovanni, quest'affermazione deriva dall'erroneo riferimento ad E. di un documento. Costantino Gaetani scrisse nel 1723 che la madre del papa si chiamava Maria Gajetana, ma si tratta indubbiamente di un'affermazione dettata da interessi genealogici (cfr. H. Gleber, pp.179 ss.). secondo un'altra tradizione, risalente già al Medioevo, E., prima di diventare papa, sarebbe stato anche cardinale. Si tratta evidentemente di una confusione del monastero dei SS. Anastasio e Vincenzo, di cui era stato abate, con l'omonima chiesa titolare.

 

            L'elezione del cistercense pisano come successore di Lucio II morto in seguito ad un'attentato – elezione peraltro non salutata con favore da Bernardo – era dettata non solo da considerazioni riformatrici nel Collegio cardinalizio di cui facevano parte in quel momento tre cardinali pisani, ma anche dalla difficile situazione politica a Roma. L'elezione ebbe luogo nel refettorio del monastero di s. Cesario sul Palatino il giorno stesso della morte di Lucio (15 febbraio 1145), l'intronizzazione avvenne subito dopo nel Laterano. Ma già nella notte tra il 16 e il 17 febbraio il papa era costretto ad abbandonare la città in rivolta. Fu consacrato la domenica di «Exurge», il 18 febbraio 1145, nel monastero di Farfa.

            Non si conoscono i motivi che spinsero l'abate Bernardo a scegliere il nome di Eugenio. In alcuni compendi storici del Medioevo, come ad esempio nella cronaca di Martino di Troppau o nei flore temporum, E. viene qualificato come «simplex». Questo attributo non costituiva necessariamente un giudizio negativo, ma indicava piuttosto la rettitudine del monaco e non contrasta neanche con le funzioni di comando esercitate da E. a Pisa e a Roma prima della sua elezione.

            E. non stabilìmai buoni rapporti con i romani. Durante il suo pontificato, durato otto anni, quattro mesi e tre settimane, potè soggiornare a Roma complessivamente soltanto un anno e mezzo scarso. Nei primi anni la sua residenza preferita fu Viterbo (dall'aprile 1145 in poi), più tardi (dal 1149 in poi) soggiornò a Tuscolo, a Ferentino e a Segni. Il potere a Roma era infatti nelle mani del Senato, restaurato nel 1144 secondo il modello antico, con alla testa il «patricius» giordano Pierleoni discendente da una famiglia di ebrei convertiti e fratello dell'antipapa Anacleto II morto nel 1138. E. scomunicò Giordano nel 1145, ma alla fine dell'anno giunse con i Romani ad un accordo, che, se da un lato prevedeva il riconoscimento del Senato da parte del pontefice, dall'altro restaurava l'ufficio del prefetto dell'Urbe nominato dal papa. Grazie a questo accordo E. poté rientrare a Roma (o piuttosto a Trastevere), ma il suo soggiorno durò solamente fino a marzo 1146.

            Ben presto, infatti, Arnaldo da Brescia, che pure nel 1145 a Viterbo si era sottomesso al papa, divenne la guida spirituale dei Romani. Il 15 marzo 1148 E. III esortò con una lettera i cittadini a guardarsi dall'influenza esercitata da Arnaldo. Ma le sue raccomandazioni non furono accolte: nell'autunno del 1149 il Senato invitò il re tedesco Corrado III a Roma per ricevera la corona imperiale dal popolo romano e per stabilirvi la sua residenza. L'invito rimase inscoltato, ma E. III potè tornare a Roma soltanto per un breve periodo (novembre 149 – giugno 1150) grazie all'aiuto militare normanno. Rientrò a Roma un'ultima volta nel dicembre 1152, questa volta con la mediazione tedesca, dopo che i Romani avevano messo due consoli alla testa del Senato, composto di duecento membri, e progettato una nuova incoronazione imperiale.

            Negli anni 1147 e 1148 E., spinto dagli avvenimento dell'Oriente cristiano, aveva fatto un lungo viaggio in Francia. La riconquista di Edessa da parte degli infedeli (Natale 1144) aveva preoccupato il papa già prima che nel novembre 1146 il vescovo siriano Ugo di Gablah giungesse a Viterbo con notizie più precise, sollecitando aiuti. Il 1° dicembre 1154 a Vetralla E. aveva emanato la bolla Quantum praedecessores con la quale invitava alla crociata, bolla rinnovata il 1° marzo 1146 a Trastevere. Il papa sperava soprattutto nel soccorso dei cavalieri francesi, visto che re Luigi VII aveva dichiarato la propria disponibilità già nel Natale 1145 durante una Dieta celebrata a Bourges. La partecipazione dei Tedeschi dovette invece essergli meno gradita, perché contava sul loro aiuto nel conflitto con i Romani. Tuttavia, un anno più tardi, anche molti principi tedeschi e lo stesso re Corrado III presero la croce a Spira, spinti dalla predicazione di s. Bernardo. Nell'aprile 1147 E. autorizzò i principi della Germania settentrionale ad organizzare una crociata contro gli Slavi pagani (o Sorabi); nello stesso anno dette a Alfonso VII di Castiglia il consenso per una spedizione miltare contro i musulmani nel contesto della «reconquista» iberica. Nell'estate 1146 erano state condotte trattative con l'imperatore Manuele I di Bisanzio, sempre a proposito della crociata; il 5 ott. 1146, da Viterbo, E. III ordinò infine al clero italiano di predicare la croce. Ma nonostante i suoi sforzi il papa non riuscì a conservare il controllo dell'impresa. E. III iniziò il viaggio in Francia partendo nei primi giorni del 1147 da Viterbo con un seguito di almeno diciassette cardinali. In base alle bolle emanate durante questo viaggio è possibile ricostruire il l'itinerario seguito dalla corte pontificia. Il 13 genn. 1147 E. III fu a Marturi presso Poggibonsi, l'8 febbr. a Lucca, il 12 febbr. a Pontremoli, il 2 marzo a Vercelli, il 7 marzo a Susa, il 9 marzo a Oulx e, dopo aver attraversato le Alpi, fu presente il 22 marzo a Lione e il 26 marzo a Cluny. L'incontro solenne con Luigi VII avvenne il 20 marzo a Digione, poi il papa e il re continuarono il viaggio insieme; il 6 aprile furono a Chiaravalle , il 10 aprile a Troyes, il 13 aprile a Provins a il 15 aprile a Meaux. La Pasqua fu celebrata il 20 aprile a Parigi  con grande solennità, che includevano l'incoronazione del re da parte del papa a St-Denis. Tuttavia, nel corso di una processione a St.e-Geneviève, scoppiarono violenti incidenti antipapali, provocati presumibilmente dai seguaci di Abelardo e di Arnaldo da Brescia che indussero il papa ad avviare una riforma monastica.

 

            L'esercito dei crociati con alla testa re Luigi VII si mise in marcia il 2 maggio 1147 seguendo quello tedesco guidato da Corrado III. E. invece rimase in Francia, passando l'estate e l'inizio dell'autunno quasi sempre ad Auxerre. Nel novembre si spostò su territorio imperiale soggiornando fino al febbraio 1148 a Verdun e a Treviri. Da lì si recò, infine, a Reims, dove si trattenne fino a dopo Pasquas, quando cominciò il viaggio di ritorno in Italia.Questa volta passò per Châlons-sur-Marne (20 aprile), Clairvaux (24 aprile), Langres (27 aprile), Besançon (5 maggio) e Losanna (14 maggio), dove si fermò per un periodo più lungo. Per attraversare le Alpi scelse il passo del Gran S. Bernardo, dopo aver fatto tappa a St-Maurice (25 maggio) e Martigny (27 maggio). L'8 giugno fu di nuovo a Vercelli e da lì si trasferì a Brescia (9 luglio), dopo brevi soste a Pavia (23 giugno) e a Cremona (7 luglio). Trascorse l'estate a Brescia in vicinanza delle montagne. Infine tornò a Viterbo passando per Leno (9 settembre), Parma (13 settembre), Pisa (8 ottobre), San Gimignano (22 novembre) e Siena (29 novembre). A Viterbo la presenza di E. è attestata per la prima volta il 30 dicembre 1148.

 

                  Durante il suo viaggio, durato quasi due anni, E. celebrò due concili in Francia, a Parigi e a Reims, e uno in italia, a Cremona. Un altro concilio era stato programmato a Treviri, i territorio imperiale, ma non si realizzò. Dei canoni emanati si sono conservati solo quelli relativi al concilio di Reims, mentre per gli altri concili bisogna ricorrere ad altre fonti, sia documentarie sia storiografiche.

 

            Nel caso del concilio parigino, celebrato in data imprecisata, ma probabilmente poco dopo l'arrivo del papa nella città (Pasqua 1147) si trattò piuttosto di un Concistoro allargato che doveva occuparsi soprattutto del vescovo di Poitiers, Gilberto Porrettano, sospettato di eresia, e della sua dottrina sulla Trinità. Furono poi dibattuti problemi di politica ecclesiastica  come la destituzione dell'arcivescovo Guglielmo di York, elevato in modo non canonico, una questione che toccava non soltanto la vecchia rivalità tra York e Canterbury, ma anche i conflitti in corso per la Corona inglese.

 

            Un anno più tardi, nel marzo 1148, si riunirono a Reims, per il concilio convocato da E., più di quattrocento vescovi e abati, per lo più francesi. I canoni ivi promulgati ripetevano disposizioni degli anni Trenta che riguardavano il celibato e più in generale la vita onesta del clero. Non sono quindi molto interessanti, soprattutto rispetto alle atre questioni affrontate dal concilio. Va rilevato però che venivano dichiarate nulle ancora una volta tutte le disposizioni dell'antipapa Anacleto II e condannate certe eresie propagatesi recentemente in Guascogna e in Provenza. La condanna riguardava probabilmente i seguaci del prete Pierre de Bruis e del monaco Enrico contro i quali Bernardo di Chiaravalle nel 1145 aveva intrapreso una campagna di predicazione. Bernardo partecipò personalmente al concilio e lo influenzò profondamente. Veniamo a sapere, inoltre, che il predicatore itinerante bretone Eon de l'Ètoile fu intrrogato e condannato alla reclusione in un monastero. Fu ripreso e deciso anche il caso di Gilberto Porrettano, aggiornato a Parigi: questi, dopo un processo durato due settimane, ritrattò alcune affermazioni incriminate.

            La decisione più clamorosa presa dal concilio fu però quella di sospendere gli arcivescovi di Magonza e di Colonia che non si erano presentati a Reims, nonostante che E. avesse avuto contatti amichevoli con loro poco tempo prima a Treviri. Sui motivi di questa decisione le fonti in nostro possesso lasciano spazio soltanto a supposizioni. In Francia la sospensione colpì i vescovi di Orléans e di Troyes. Inoltre il concilio dovette decidere nel conflitto relativo alla primazia, contestata, di Lione, Vienne e Bourges ed occuparsi di questioni riguardanti le esenzioni nelle diocesi di Bourges, Parigi, Sens, Autun e Rouen. E. sospese anche quasi tutti i vescovi inglesi, perché avevano disertato il concilio a causa del divieto del loro re a parteciparvi. L'unica eccezione era costituita dall'arcivescovo di Canterbury che non si era lasciato intimidire, ottenendo come premio la riconferma del suo primato. Re Stefano fu citato davanti al tribunale pontificio per giustificarsi, ma preferì non presentarsi. Nella penisola iberica il Portogallo (Braga) e l'Aragona (Tarragona) contestavano il primato dell'arcivescovo di Troledo, un'altra disputa che il concilio dovette affrontare.

 

                  Anche nel corso del concilio celebrato a Cremona nel luglio 1148, durante il viaggio di ritorno del papa, furono dibattute soprattutto questioni di rivalità ecclesiastiche: Ravenna e Milano, Milano e Genova, Ravenna e Piacenza si contendevano reciprocamente la primazia. Inoltre il concilio si occupò del contenzioso tra Milano e la Moriana riguardante questioni di confine  e del vecchio conflitto tra il vescovo di Modena e il monastero di Nonantola. La preoccupazione maggiore di E. dovette però essere quella di rendere note in Italia le decisioni del concilio di Reims, visto che quasi nessuno dei partecipantoi lo aveva accompagnato in Italia. In tutti i concili celebrati da E. furono quindi discusse soprattutto questioni di politica ecclesiastica.

 

            Non solo i viaggi, ma anche le legazioni, affidate per lo più a cardinali, garantivano l'influenza del papa al di fuori dello Stato della Chiesa , anche se l'avidità e il lusso degli emissari pontifici suscitavano spesso aspre critiche. I legati dovevano assolvere compiti sia politici sia ecclesiastici, ma nella prassi prevalsero i compiti più specificamente diplomatici a scapito di quelli religiosi e riformatori. Furono i legati pontifici a portare in Germania nel 1153 il consenso di E. all'annullamento del primo matrimonio del re tedesco Federico I con Adela di Vohburg, sua parente. Più gravido di conseguenze storiche fu invece il divorzio di Luigi VII di Francia da Eleonora di Aquitania avvenuto un anno prima, anch'esso «consensu Eugenii papae», ma non alla presenza dei legati pontifici.

            Nella seconda crociata del 1147-1148 E. si fece rappresentare dal cardinale vescovo di Porto, Dietwin, mentre il cardinal prete Guido di S. Crisogono accompagnò i crociati francesi. Il vescovo Anselmo di Havelburg funse invece da legato pontificio nel 1147, in occasione della crociata contro i Sorabi. Nella primavera del 1147 il cardinale Dietwin, e dopo di lui anche il cardinale Guido dei SS. Cosma e Damiano, cancelliere della Chiesa, avevano trattato con Corrado III a proposito della sua partecipazione alla crociata, anche se E. avrebbe certamente preferito una discesa del re a Roma, sempre in mano dei suoi avversari. È probabile che di questa faccenda si fosse discusso già durante il precedente soggiorno di Dietwin, recatosi in Germania per la prima volta nel 1145, insieme con il cardinale prete Tommaso di S. Vitale.

            Allora era stata preparata la canonizzazione dell'imperatore Enrico II (1002-1024), celebrata poi da E. il 14 marzo 1146, un gesto intenso senza dubbio come un invito alla collaborazione rivolto al re tedesco. Del resto, lo scambio di ambasciatori tra la Corte pontificia e quella tedesca fu particolarmente intenso durante tutto iul pontificato di Eugenio III. L'arcivescovo Alberto di Treviri (1137-1152) era considerato il legato permanante del papa in Germania. Un certo cardinale Gerardo nel 1145 era attivo nella zona di confine tra Francia e Germania ; un «magister» Greco alla fine del 1148 agiva per incarico del papa in Sassonia. Nell'estate 1151 giunsero in Germania, muniti di ampi poteri, i cardinali preti Ottaviano di S. Cecilia e Giordano di S. Susanna per invitare ancora un avolta il re Corrado III a recarsi a Roma; all'inizio del 1153, infine, i cardinali Bernardo di S. Clemente  e Gregorio di S. Angelo concludevano a nome di E. il trattato di Costanza con il nuovo re Federico I Barbarossa.

            Conflitti dinastici dividevano Boemi e Polacchi, e per mediarli il cardinale diacono Guido da Fucecchio nel 1145 e nel 1146 soggiornò in Boemia e in Moravia; nel 1147 operò, poi, in Polonia come legato pontificio il suddiacono Giovanni. Nel 1148 anche il cardinale diacono Guido da Crema – il futuro antipapa Pasquale (III) – si recò in Polonia, passando per la Moravia; egli tornò a Roma nel 1149 attraverso la Germania. In Inghilterra il vescovo Enrico di Winchester, fratello di re Stefano e legatopermanente del papa, ancor prima del 1151, a quanto pare, fu sostituito nella carica di legato dal primate inglese, l'arcivescovo Teobaldo di Canterbury (1139-1161), misura determinata tra l'altro dai conflitti per la Corona inglese allora in atto.

            Negli anni 1151-1152 il cardinal prete Giovanni Paparo di S. Lorenzo in Damasco si recò in Scozia e in Irlanda. Oggetto della sua missione fu il distacco della chiesa scozzese dalla Chiesa metropolitana di York nell'Inghilterra settentrionale. In Irlanda si trattava di elevare al rango di metropoliti ben quattro vescovi. Alla legazione scandinava del cardinale inglese Nicola Breakspear di Albano (il futuro papa Adriano IV) si deve invece la fondazione nel 1152 dell'arcivescovato di Nidaros (Trondheim) in Norvegia che fu distaccato dalla sede metropolitana danese-svedese di Lund. In Svezia il legato presediette un sinodo riformatore a Linköping, dove ottenne l'impegno del re di pagare a Roma l'obolo di S. Pietro. L'arcivescovo di Lund trasmise, per incarico del papa, il pallio.

            Viceversa, nonostante le frequenti assenze e la situazione piuttosto difficile, la Corte pontificia fu anch'essa meta di numerose ambascerie incaricate di trattare questioni politiche e ecclesiastiche. Nell'ottobre del 1149 E. ricevette a Tuscolo re Luigi VII di Francia che, attraverso il regno di Sicilia, stava tornando dalla crociata. Nel luglio 1150 il papa si incontrò con Ruggero II di Sicilia a Ceprano, città al confine tra lo stato della Chiesa e il Regno. Se i due re erano indubbiamente i visitatori più altolocati del papa, non dovettero però suscitare il clamore provocato dalla visita degli ambasciatori orientali giunti a Viterbo nel novembre 1145. Si trattava del vescovo di Gablah e degli inviati del patriarca armeno («katholicos») venuti con l'offerta dell'unione delle due Chiese. La loro visita rivelò infatti nell'Occidente cattolico, per la prima volta dopo lunghissimo tempo, l'esistenza di un lontano cristianesimo orientale, nestoriano, attraverso la leggenda del prete Giovanni, che il vescovo Ottone di Frisinga, in quel momento presente alla Corte pontificia in qualità di ambasciatore tedesco, racconta nella sua Chronica (pp.32 s.).

 

            Dati gli stretti rapporti tra l'Impero e il papato, non passò un anno senza lo scambio di ambasciatori. Sebbene l'iniziativa fosse partita e promossa dalla corte tedesca, anche E., da parte sua, intendeva rafforzare, con la canonizzazione dell'imperatore Enrico II, il legame tra i due poteri universali. Tuttavia, vari motivi impedirono alla fine il tanto auspicato viaggio a Roma di Corrado III e la sua incoronazione imperiale. E. aveva sperato di piegare i Romani ribelli con l'aiuto del re tedesco, ma alla fine fu già un successo che Corrado III rifiutasse di ricevere la corona imperiale dalle mani dei nemici del papa. E. accettò che Corrado, anche senza essere stato incoronato, usasse il titolo di «imperator augustus» e non protestò quando il re si qualificò «semper augustus» anche nei suoi confronti. Ma non solo: egli stesso in una lettera del 1° aprile 1148 scritta a Reims, si rivolse a Enrico, figlio e correggente del re, chiamandolo figlio dell'«imperatore» Corrado. Va tutttavia detto che la lettera in questione era stata «dettata» da Wibald, abate di Stablo e Corvey, il consigliere più influente di Corrado III e istitutore di suo figlio, che in quel momento si trovava alla Corte pontificia come ambasciatore tedesco. Fu lui, infatti, a conferire alla titolatura dei re tedeschi un'impronta «augustale», contro la quale E., a quanto pare, non ebbe da obiettare. Wibald svolse a lungo la funzione di collegamento tra la corte del re e la Curia pontificia e fu anche l'autore delle due lettere che annunciavano al papa l'elezione di Enrico (IV), avvenuta nel giugno del 1147, e quella di Federico I nel 1152, con la promessa di obbedienza «in omnibus» nella prima e di protezione del papato romano nella seconda. A quest'ultima lettera E. rispose con l'approvazione, non richiesta, dell'elezione di Federico I.

 

            Le trattative tra la corte tedesca e la Curia pontificia, iniziate già al tempo di Corrado III, portarono nel marzo 1153 alla conclusione del famoso trattato di Costanza centrato sulla difesa reciproca dell'«honor», quello del papato e quello dell'Impero. Il carattere bilaterale degli accordi dimostra che le due parti si consideravano di pari rango. L'obiettivo del trattato era la restaurazione del vecchio ordine nell'Impero e nella Chiesa: al papa fu promessa la restituzione della sua sede tradizionale, Roma, al re l'incoronazione imperiale.

            Tuttavia l'accordo di Costanza non era diretto solo contro i Romani ribelli, ma anche contro Bisanzio e il Regno normanno di Sicilia. L'esito infelice della seconda crociata era stato addebitato soprattutto a Bisanzio, tanto che nel 1150 si pensò di organizzare una crociata contro l'Impero d'Oriente, progetto approvato anche da Eugenio III. L'animosità contro Bisanzio acuì inoltre la rivalità tra i due Imperi. Tra Roma e il Regno di Sicilia, feudo della Chiesa, in seguito si erano create nuove tensioni, quando Ruggero II senza chiedere il permesso al papa fece incoronare re il figlio Guglielmo a Palermo (Pasqua 1151).

            L'attuazione del trattato di Costanza avvenne però solo dopo la morte di E.,avvenuta a Tivoli l'8 luglio 1153. In seguito la salma fu trasferita a Roma e sepolta nell'oratorio di S.Maria e S.Pietro.

 

            Di E. si conservano più di mille bolle. Si tratta nella maggior parte della conferma di beni e diritti a istituzioni ecclesiastiche. Con le promesse di protezione pontificia E. superò tutti i suoi predecessori. I Cistercensi furono particolarmente favoriti dal papa, che per tutta la vita rimase legato all'Ordine cui era appartenuto prima di assumere la più alta carica della cristianità. E. continuò a indossare sotto le vesti pontificali l'abito monacale dei Cistercensi e creò ben tre cardinali privenienti da questo Ordine. Nel 1152 confermò la Charta caritatis dell'Ordine cistercense con alcune aggiunte importanti che riguardano la pace ecclesiastica e l'esenzione dall'interdetto.

                  Nessun segno esteriore o interiore rivela un cambiamento nella diplomatica pontificia di quel periodo. Va tuttacvia rilevato che in una bolla pontificia del 10 aprile 1153, emanata a s.Pietro a favore di quei canonici, compare per la prima volta il titolo di «vicarius Christi», una dizione che lascia pensare all'influenza di s.Bernardo e rivendica per il papa la funzione di massima guida spirituale.

                  Quasi quaranta lettere e in primo luogo il trattato De consideratione ad Eugenium papam, scritto da s.Bernardo tra il 1148 e il 1153 (pubblicato da J. Leclercq-H.M. Rochais in sancti Bernardi Opera, III, Romae 1963, pp. 379-493), testimoniano del legame sempre vivo, tra il maestro e l'allievo salito sul trono di s.Pietro. Questi scritti elaboravano infatti un programma di riforme basato sull'ideale della povertà apostolica che riguardava anche il papato. La posizione di Bernardo era quindi del tutto opposta a quella di Gerhoch, il dotto prevosto del monastero dei Canonici Regolari di Reichersberg che nei suoi scritti si era dichiarato contrario a novità e riforme. Gerhoch aveva dedicato le sue opere a E. poco dopo che questi era stato eletto papa e ne era stato lodato. Da quando aveva conosciuto i suoi scritti durante il soggiorno a Treviri, E. intratteneva rapporti epistolari anche con Ildegarda di Bingen. I suoi forti interessi teologici lo indussero inoltre a invitare il vescovo Anselmo di Havelberg a scrivere i Dialoghi, nei quali Anselmo, ambasciatore imperiale a Costantinopoli nel 1135-1136, riferisce delle dispute con i teologi greco-ortodossi guidati dall'arcivescovo Niketas di Nicodemia. Sempre per invito del papa il giurista Burgundione da Pisa, che aveva accompagnato Anselmo a Costantinopoli, tradusse dal greco gli scritti di Giovanni damasceno e li pubblicò sotto il nome di De fide orthodoxa. Recentemente si è supposto anche che E. abbia favorito gli studi canonistici di Graziano, camaldolese bolognese.

                  Sin dal 1152 Burgundione esercitò alla Curia pontificia la funzione di «iudex sacri Lateranensis palacii» ovvero «iudex apostolice sedis». Si s anche che all'inizio del pontificato il cancelliere della Curia, l'inglese Robert Pulleyn (1145-1146), aveva molta influenza sul papa. Gli successe nella carica di cancelliere il cardinale Guido da Caprona, pisano (1146-1149). Dopo di lui furono cancellieri Bosone, camerario pontificio e, più tardi, storiografo del papato (1149-1153), e, dal maggio 1153, Rolando Bandinelli, il futuro papa Alessandro III. Daal 1148 al 1153 soggiornò alla Corte papale il dotto Giovanni da Salisbury, anch'egli attivo nella Cancelleria. Le parti conservate della su a Historia pontificalis (1148-1152) riguardano il pontificato di E. e costituiscono  per questo una fonte contemporanea preziosa.

                  La vita di E. nel Liber pontificalis, rivisto e continuato da Bosone, tratta soltanto degli inizi del pontificato, e per lo più, in modo piuttosto scarno. Il fatto è tanto più sorprendente in quanto Bosone, funzionario della Curia, era bene informato degli avvenimenti ee interessato alle sorti del papato e dello Stato della Chiesa. A Bosone viene attribuito un elenco di beni e delle entrate della Chiesa al tempo di E. oggi perduto, ma utilizzato mezzo secolo più tardi dal camerario Cencio Savelli, il futuro Onorio III, nel liber censuum. La Vita di Bosone menziona infatti alla fine come opere lodevoli di E. il recupero alla chiesa di Terracina, Sezze, Norma e Furone, il restauro del palazzo pontificio nel Vaticano e la costruzione di un palazzo a Segni. E. ordinò anche opere di restauro e di ampliamento a S.Maria Maggiore, come testimoniano alcune iscrizioni. Nella gestione della Chiesa non si lasciò guidare dagli ideali Cistercensi. Si capiscono quindi le esortazioni e le perplessità di s.Bernardo che dubitava delle capacità del confratello di guidare la Chiesa, perplessità che si esprimono nella lettera scritta dopo l'elezione e che vengono formulate anche nella Vita di Bosone.

                  La storiografia pontificia successiva fu più clemente con il papa. E. lasciò un buon ricordo soprattutto nella sua città natale (Pisa) e tra i Cistercensi. Già i contemporanei lo chiamavano «beato», epiteto che tuttavia non va inteso nel senso canonico. A partire dalla metà del sec. XVI il nome di E. compare nei libri memoriali liturgici dei Cistercensi e il 3 ottobre 1872 Pio IX, su richiesta generale dell'Ordine, ne confermò il culto, stabilendo come anniversario il giorno della sua morte (8 luglio). Il giudizio della storiografia moderna è più obiettivo. Il pontificato di R. segna, secondo l'opinione corrente, la fine dell'epoca delle riforme.

 

Harald Zimmermann

 

Fonti e Bibl.: le bolle di E. sono registrate in Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffè-G.Wattenbach-S.Loewenfeld-F.Kaltenbrunner-P.Ewald, II, Lipsiae 1888, nrr. 8714-9785, pp. 21-89; per la Vita di Bosone cfr. Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, p. 386, la Historia pontificalis di Giovanni di Salisbury è pubblicata senza il nome dell'autore da W. Arndt, in M.G.H. [Monumenta Germaniae Historica inde ab anno Christi quingentesimo usque ad annum millesimum et quingentesimum [...], Hannover e altrove 1826 ss.], Scriptores, XX, a cura di G.H. Pertz, 1869, pp. 516-45; il giudizio di s.Bernardo sta in Sancti Bernardi Opera, a cura di J.Leclercq-H.M.Rochais, VIII, Romae 1977, p. 114. Tra le cronache si citano. Ottonis episcopi Frisingensi s Chronica, in M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, XLV, a cura di A. Hofmeister, 19122, pp. 32 s.; Mrtinus Oppaviensis, Chronicon pontificum et imperatorum, a cura di L. Weiland, ibid., Scriptores, XXII, a cura di G.H. Pertz, 1872, p. 436; Flores temporum auctore fratre ordinis Minorum, a cura di O.Holder-Egger, ibid., XXIV, a cura di G.Waitz, 1879, p. 247. Inoltre cfr. la seguente bibliografia: J. Dalannes, Historie du pontificat d'Eugéne III, nancy 1737; D.Bertini, Osservazioni intorno alla patria e alla famiglia del sommo pontefice Eugenio III, «Atti della R.Accademia Lucchese di Scienze, Lettere ed Arti», 2, 1823, pp. 111-92; M. Jocham, Geschichte des Lebens und der Verehrung des seligen Papstes Eugenius III., Augusburg 1873; F.Chévre, Le pape Eugéne III à Paris, à Trèves, à Rheims, à Lausanne et à St-maurice, «Revue de la Suisse Catholique», 18, 1877, pp. 137-42; Moine de Lèrins, Vie du béat Eugène III pape, Lèrins 1879; G.Sainati, Vite dei santi, beati e servi di Dio nati nella diocesi pisana, Pisa 1884, pp. 26-71; D.Willi, Päpste, Kardinäle und Bischöfe aus dem Zisterzienserorden, «Cistercenser-Chronik», 23, 1911, pp. 236 ss.; J.M. Brixius, Die Mitglieder des Kardinalkollegiums von 1130-1181, Berlin 1912, passim; W.Reichert, das Werhältnis Papst Eugens III. zu den Klöstner, Greifswald 1912; O.Premoli, il casato di Eugenio III, «Rivista Araldica del Collegio di Roma», 15, 1917, p. 298; S.Steffen, Papst Eugen III. in Trier 1147-48, «Cistercenser-chronik», 30, 1918, pp. 177-86, 197-202, 202-15; R.L.Poole, John of Salisbury at the papal Court, «The English Historical Review», 151, 1923, pp. 321-30; E. Caspar, Die Kreuzzugsbulle Eugens III., «Neues Archiv der Gesellschaft für Altere Deutsche Geschichtskunde», 45, 1924, pp. 295-306; H.Gleber, Papst Eugen III. (1145-1153) unter besonderer Berücksichtigung seiner politischen Tätigkeit, Jena 1936; G. Mercati, Un epitafio metrico di papa Eugenio III, in Id. opere minori raccolte, II, Città del Vaticano 1937, pp. 249-52; K.Hais, Das Bild Eugens III. auf Grund neuester Forschung, «Cistercenser-Chronik», 49, 1937, pp. 129-39, 169-77, 208-11; A.M.Bonenfant-feytmas, Une bulle originale d'Eugène III pour l'abbaye de St-Bertin, «Bullettin de la Commission Royale d'Histoire», 111, 1947, pp. 21-35; M. Souplet, Le bienheureux pape Eugène III et st. Bernard à Verdun 1147-48, Verdun 1951; M. Maccarrone, Vicarius Christi. Storia del titolo papale, Roma 1952; G. del Guerra-N. Caturegli-G.L. Bentivoglio, il beato Eugenio III, Pisa 1954; L. Spätling, Kardinal Guido und seine Legation in Böhmen-Mähren (1142-46), «Mitteilungen des Instituts für Österreichinsche Geschichtsforschung», 66, 1958, pp. 306-30; M. Maccarrone, Papato e Impero. Dalla elezione di Federico I alla morte di Adriano IV, Roma 1959; P. Wenskus, Zu einer päpstlichen Legation nach Böhmen und Mähren im 12. 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Kennan, The 'De Consideratione' of St. Bernard of Clairvaux and the papacy in the Mid-Twelfth Century, «Traditio», 23, 1967, pp. 73-115; W. Seegrün, Das Papsttum und Skandinavien bis zur Vollendung der nordischen Kirchenorganisation 1164, Neumünster 1967, ad indicem; L. Genuardi, Il papa Eugenio III e la cultura giuridica in Roma, in Mélanges Fitting, II, Aalen 1969, pp. 385-90; B. Jacqueline, Le pape et les Romains d'après le «De Consideratione ad Eugenium papam» de st. Bernard de Clairvaux, «L'Année Canonique», 17, 1973, pp. 603-14; J.T. Noonan, Was Gratian Approved at Ferentino?, «Bullettin of Medieval Canon Law», n. ser., 6, 1976, pp. 15-27; L. Cioni, il concilio di Reims nelle fonti contemporanee, «Aevum», 53, 1979, pp. 273-300; J. Verdier, Bulle du pape Eugène III en faveur de l'abbaye de St. Jean de Sens, 21 juin 1152, «Bullettin de la Société d'Émulation de l'Arrondissement de Montargis», 3, 1979, pp. 26 ss.; B.U. Hergemöller, Die Geschichte der Papstnamen, Münster 1980, pp. 78 ss.; H. Jakobs, Eugen III. und die Anfänge europäischer Stadtsiegel, Köln 1980; P. Seaby, King Stephen and the Interdict of 1148, «British Numismatic Journal», 50, 1980-81, pp. 50-60; E. Paratore, Il papa di s.Bernardo: Eugenio III, in Fatti e figure del Lazio medievale, Roma 1981, pp. 295-304; D.W. Blake, An Original Bull of Pope Eugenius III, «Devon and Cornwall Notes and Queries», 34, 1981, pp. 207-11; J. Clémens, La bulle d'Eugène III pour l'abbaye de Sorde, «Bullettin de la Société de Borda», 106, 1981, pp. 203-12; H. Zimmermann, Das Papsttum in Mitterlalter, Stuttgart 1981, pp. 130 ss.; F.-J. Schmale, Das Papsttum im Zeitalter Bernhards von Clairvaux und der frühen Staufer, in M. Greschat, Gestalten der Kirchengeschichte, XI, ivi 1985, pp. 181-84; O. Engels, Zum Konstanzer Vertrag von 1153, in Deus qui mutat tempora. Festschrift für A. Becker, a cura di H.D. Hehl-H. Seibert-F. Staab, Sigmaringen 1987, pp. 235-58; K. Christensen, The Lost Papal Gloss on Si quis suadente (C. 17 q. 4 c.29), «Bullettin of Medieval Canon Law», n. ser., 18, 1988, pp. 1-13; O. Hengels, Kardinal Boso als Geschichtsschreiber, in Id., Stauferstudien, Sigmaringen 1988, pp. 203-24; R. Grosse, Überlegungen zum Kreuzzugsaufruf Eugens III. von 1145/46, «Francia», 18, 1991, pp. 85-92; C. Arabello, Nulli credimus esse incognitum, un messale veronese ed un inedito di Eugenio III, «Aevum», 66, 1992, pp. 233-44; M. Horn, Studien zur Geschichte Papst Eugens III., 1145-1153, Frankfurt a. M. 1992; The Second Crusade and the Cistercians, a cura di M. Gervens, New York 1992; H. Jakobs, Rom and Trier 1147. Der «Adventus Papae» als Ursprungzeugnis der rheinischen Stadtsiegel, in Köln. Stadt und Bistum in Kirche und Reich des Mittelalters. Festschrift für Odilo Engels zum 65. Geburtstag, a cura di H. Vollrath-S. Weinfurter, Köln 1993, pp. 349-65; Id., Nochmals Eugen III. und die Anfänge europäische Stadtsiegel, «Archiv für Diplomatik, Schriftgeschichte, Siegelkunde und Wappenkunde», 39, 1993, pp. 85-148; L. Falkenstein, Zur Konsekration des Hauplaltares in der Kathedrale von Châlons-sur-Marne durch Eugen III. am 26. Oktober 1147, in Papstgeschichte und Landesgeschichte. Festschrift für H. Jakobs zum 65. Geburtstag, a cura di J. Dahlhaus-A. Kohnle, Köln 1995, pp. 297-328; R. Hiestand, Von Troyes – oder Trier? – nach reims. Zur Generalsynode Eugens III. im Frühjahr 1148, ibid., pp. 329-48; B. Chauvin, Du nouveau autor de l'affiliation de l'abbaye de Fontmorigny à l'ordre de Cîteaux, «Ravue Mabillon», 6, 1995, pp. 33-57; R. Pernoud, Storie e visioni di Santa Ildegarda, Casale Monferrato 1996; S. Ranalli, San bernardo di Clairvaux e il monastero di Casamari durante il periodo della «Riforma cistercense»: dati storici, valutazioni ed ipotessi, «Rivista Cistercense», 13, 1996, pp. 21-39; J. Strothmann, Arnold von Brescia. Christentum als soziale Religion, «Theologie und Glaube», 87, 1997, pp. 55-80. Lexikon für Theologie und Kirche, III, Freiburg 19953, s.v., col. 981; Lexikon des Mittelalters, VIII, München-Zürich 1997, s.v. Suger, Abt. v. St-Denis, coll. 292-94; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 566-69.

 

 

 

 

Baldovino. [45] – Era pisano di nascita almeno secondo la tradizione, e, come cistercense, fu in frequenti rapporti con san Bernardo, che diresse a lui alcune sue lettere. Secondo alcuni studiosi questo B. è da identificarsi con l'omonimo che venne nominato cardinale da Innocenzio II nel concilio di Clermont (novembre 1130), primo dei cardinali provenienti dall'ordine cistercense. Nel 1137 succedette all'arcivescovo Uberto sulla cattedra episcopale pisana [46] . San Bernardo ne accenna, con parole di elogio per lui, in una lettera ai monaci di Chiaravalle. In questo stesso anno B. fu inviato da Innocenzio II a Montecassino col compito di riportare all'obbedienza romana una parte dei monaci che si erano ribellati: «ut filium Petri Leonis cum suis sequacibus a monachis casinesibus refutari et anathematizari faceret... et Papae et eius successoribus obedentiam promitterent». Nel luglio 1137 B. interviene al dibattito, svoltosi alla presenza dell'Imperatore Lotario II, sugli ordinamenti della vita monastica, dibattito che Pietro Diacono ebbe con alcui cardinali, per conto del Monastero di Montecassino. Ce lo racconta Pietro stesso nella sua Chronica (p. 882). Il 22 apr. 1138 Innocenzio II scrive a B. circa le discordie tra Pisani e Genovesi relative al dominio della Sardegna e sulla Corsica [47] , conferendo al tempo stesso, alla Chiesa di Pisa la primazia sul Turritano e sui vescovi di Populonia, di Galtelli e di Civita [48] .

            il 19 luglio 1139, la chiesa pisana ottenne da Corrado III un privilegio di conferma delle sue proprietà nel contado; il privilegio fu emanato, come si dice nel documento, per esortazione di san Bernardo e del vescovo Ottone di Frisinga, fratello del sovrano. D'altra parte, i diritti della chiesa stessa si erano accresciuti e perfezionati nell'anno precedente per la sentenza di restituzione di una metà dell'isola di Pianosa emanata in suo favore dal Comune di Pisa contro le pretese di Benedetto del fu Ugo. Sempre nel 1139 B. si recò probabilmente in Sardegna, in visita nella regione del Turritano, poiché compare tra i firmatari della «carta offersionis» con cui Ugo, vescovo di Ottana, concede a s. Salvatore di Camaldoli la chiesa di s. Pietro in Olim. L'interesse dell'arcivescovo per il Turritano è ben spiegabile in relazione ai diritti di primazia ricevuti, come si è detto, nel 1138, e rivendicati, anche nel secolo successivo, dagli arcivescovi pisani. Negli anni tra il 1140 e il 1142 vediamo l'arcivescovo impegnato nella definizione di importanti controversie relative al contado e alla diocesi di Pisa: il 30 luglio 1140 in una vertenza col vescovo di Lucca per la giurisdizione sulla chiesa di s. Angelo di Travalda «in iudicio domini Gerardi sancte Crucis kardinalis». La questione venne, per il momento, differita, e non ci risulta in che modo si sia poi conclusa [49] .

Durante l'archiepiscopato di B. le proprietà della chiesa pisana ebbero un notevole incremento. Lo si può desumere dalla frequenza delle donazioni, degli acquisti, dalle concessioni e dalle rinnovazioni dei livelli. Nel 1145, recatosi in Sardegna come legato apostolico, B. scomunicò e destituì il giudice di Arborea, sostituendolo con quello di Torres. Morì il 6 ottobre di quello stesso anno. Secondo la tradizione cronistica, in una delle lotte svoltesi tra Pisani e Lucchesi tra il 1138 e il 1143, B. era stato imprigionato dai Lucchesi allorchè riuscirono a conquistare il «Castrum Aghinolfum» (Montignoso) e poi era stato rilasciato.

 

 

Iconografia: [50] nel duomo di Pisa si conserva una tela di Giuseppe Colignon (1812) raffigurante Balduino, in vesti arcivescovili, mentre sbarca in Sardegna e rifiuta i doni del giudice di Arborea.

 

 

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- Note su Pietro di Pisa:

 

Qualche cenno sulla personalità di Pietro di Pisa, uomo di specchiata reputazione, buon conoscitore del diritto e dotato di grande eloquenza, in W.Maleczek, Das Kardinalskollegium unter Innocenz II. unt Anaklet II., "Archivium historiae pontificiae", 19 (1981), soprattutto p. 66 (ma anche pp. 55 nota 112, 74, 76), e in M.Stroll, The Jewish Pope. Ideology and Politics in the Papal Scism of 1130, Leiden - New York - København – Köln 1987 (Brill's Studies in Intellectual History, 8), pp. 139-141. Nell'ottobre del 1137 Bernardo, benché malato e stanco, "instantissima postulatione imperatoris apostolicoque mandato, necnon Ecclesiae ac principum precibus" come agli stesso ebbe a dire  - (ep. 144, OSB, VI/1, p. 652 rr. 4-5), aveva intrapreso una difficile missione nel Mezzogiorno d'Italia allo scopo di indurre Ruggero di Sicilia ad accettare Innocenzo II e a concludere la pace con Lotario II; l'abate incontrò più volte il principe, ma non riuscì a convincerlo, convinse invece Pietro di Pisa, che Anacleto II aveva inviato presso Ruggero per sostenere la legittimità della propria elezione (ep. 213, OSB, VI/2, nota 1 pp.8-11). Quando Ruggero, dopo che – concluso lo scisma – fu riconosciuto re di Sicilia da Innocenzo II, si rivolse a Bernardo perché voleva fondare un monastero cistercense nel suo regno (epp. 207-209, OSB, VI/1, pp. 884-887, 886-889, 888-891; ep. 447, OSB, VI/2, pp. 608-609). - cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p.31, nota 18.

 



[1] ): Memorie Sacre delle Glorie di Pisa, con breve compendio delle vite dei santi e dei beati della città e suo distretto, raccolte da Pietro Cardosi, cittadino Pisano, 1675. Pisa, Tipografia Pieraccini 1844, p. 51.

[2] ): Oggi l'abbazia di Clairvaux ospita un carcere di massima sicurezza. Cfr, Visita all'abbazia restaurata di Clairvaux – La Chiaravalle di San Bernardo; articolo di Rosalba Graglia, 1 aprile 2006, quotidiano La Stampa.

              [3] ): L'ordine dei Cistercensi è un ordine religioso derivante da quello dei Benedettini. L'origine di questo ordine si deve a San Roberto, abate di Molesme, che il 21 marzo 1098, (data che segna l'inizio della Primavera, festa di san Benedetto e anche Domenica delle Palme di quell'anno) si trasferì con 21 compagni in una località solitaria nei pressi di Digione, detta Citeaux (in latino Cistercium, da qui il nome Cistercensi), per applicare nella sua integrità originale la regola, i cui rigori si erano allentati nei monasteri benedettini. Richiamato poco dopo Roberto a Molesme da una decisione sinodale, gli successe nella direzione di Citeaux il beato Alberico e poi  Stefano Harding, al quale risale il primo statuto cistercense, la Charta caritatis. L'ordine assume uno straordinario incremento e vigore dopo l'ingresso a Citeaux di Bernardo di Fontaines che viene inviato nel 1115 a fondare un nuovo monastero a Clairvaux (Chiaravalle). Questo monastero insieme alla casa madre di Citeaux e a quelli di La Fertè su Grome, di Pontigny e di Morimond, istituiti nel biennio 1113-1115, costituirono le cosidette abbazie madri da ciascuna delle quali derivarono altre fondazioni in Francia, Spagna, Italia, Germania, Inghilterra. Alla fine del XII secolo le abbazie cistercensi erano più di 500 e alla fine del XIII secolo erano circa 700. L'ordine dei Cistercensi, inizialmente sancito dalla Charta caritatis, che era stata confermata dai pontefici Callisto II e Lucio III, viene maggiormente definito, nello stesso XII secolo, dalle Consuetudini ed infine, nei secoli XIII-XIV, da i Libelli definitionum, che descrivono con maggiore esattezza gli statuti dell'ordine. La regola risultante associa quindi ufficio divino e lettura spirituale al lavoro manuale. I monasteri vengono fondati in luoghi solitari ed incolti. Il lavoro dei monaci, rafforzato anche dalla introduzione di conversi laici, promuove in molte zone la bonifica e il disboscamento di terreni paludosi o selvosi per convertirli in coltivazione. La semplicità di vita e il rigore della loro dottrina costituirono così gli elementi essenziali di quest'ordine che si opponeva ai Benedettini di Cluny di cui essi criticavano aspramente il lusso della liturgia e degli arredi delle chiese e dei monasteri. In particolare, le loro chiese non hanno campanili, né pitture o sculture, spesso sono senza pavimenti nè vetrate colorate che potessero distrarre l'attenzione dei monaci. Nessuno era ammesso agli uffici divini, il cui accesso era riservato solo ai monaci. L'ordine raggiunge il massimo splendore nei secoli XII-XIII, successivamente, con l'acquisizione di vaste proprietà e la negligenza dell'opera manuale, viene intaccata la forma originaria dell'ordine. Nel 1335 l'abate di Fontfroide propone una riforma dell'ordine, riforma mai appoggiata dagli altri priori. Nel 1664, l'abate del monastero di Nostra Signora de la Trappe, Armand Jean le Bouthillier de Rancé, fa nel suo monastero un'opera di rinnovamento da cui nasce l'Ordine dei Trappisti.

[4] ): Giunta in ritardo rispetto alla abbazia madre di Cîteaux e alle abbazie sorelle di La Ferté e di Morimond, anteriore solamente all'abbazia di Pontigny tra i grandi centri dell'ordine in Francia, Clairvaux superò ben presto per numero ed espansione delle sue presenze in Italia tutte le altre famiglie cistercensi, per merito appunto di san Bernardo. - (Cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp. 142-146).   

[5] ): prende questo nome una riunione di monaci o di canonici regolari all'inizio della quale si leggeva un capitolo della regola. Da qui è sorto l'altro significato della voce, cioè l'assemblea generale di un ordine religioso, destinata ad eleggere un nuovo superiore generale o ad emanare regolamenti. Si chiama capitolo anche una comunità di ecclesiastici dipendenti da una medesima chiesa (B. Frugoni, Dizionario del Medioevo – Editori Laterza – 1994. p.48)

[6] ): Negli anni che vanno dal 1126 al 1138 s'intensificano e si sviluppano i rapporti epistolari di san Bernardo. Il numero di fondazioni di Clairvaux raggiungerà la ventina. Dopo la morte di Onorio II, nel febbraio del 1130, scoppierà uno scisma nella Chiesa romana, fra il papa Innocenzo II e un rivale che prenderà il nome di Anacleto II; durerà otto anni, provocando divisioni politiche e guerre. Bernardo dovrà viaggiare il Francia e in Germania e si recherà due volte in Italia. E' coinvolto nel turbine degli affari pubblici e comincia ad essere, come dirà il suo biografo Goffredo di Auxerre « la colonna » che sostiene la Chiesa. – (cfr. San Bernardo Opere VI/1, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, p. XXVI). | - | E' noto come, nel panorama italiano, due siano i pilastri di Anacleto II: il Mezzogiorno (Ruggero II è costituito re di Sicilia nel 1130 proprio per opera del Pierleoni) e Milano (dove la fedeltà del papa di Roma si fonda con la difesa delle prerogative ambrosiane). E' altresì ben noto come ormai lo scisma papale sia legato con netti schieramenti all'altro scisma, che divide il regno d'Italia: l'antiré Corrado appoggia Anacleto, mentre Lotario ha da tempo riconosciuto Innocenzo. La situazione è giunta al punto di richiedere un programma militare. Nell'autunno del 1132 Lotario raggiunge il suo pontefice nell'Italia settentrionale; il suo aiuto non è gran cosa a motivo dell'esiguità dell'esercito e della diffidenza – dove non ostilità – di molte città. Per poter realisticamente progettare la conquista di Roma e la neutralizzazione del potere avversario normanno è giocoforza disporre di un supporto navale. Per la seconda volta, tra la fine del 1132 e l'inizio del 1133 Innocenzo si reca a Pisa. Vi trova, dopo circa otto mesi di costruttiva peregrinazione, una base accogliente e sicura e un punto strategico ideale per le operazioni che si profilano fatalmente necessarie. Ma qui si scontra da capo con l'antico problema: la fragile tregua tra Pisa e Genova non regge più e nessuna delle due città è in grado di impegnarsi militarmente finchè ha le saplle scoperte dal lato della rivale. [..] Tornando alla pianificazione della lotta agli inizi del 1133, il problema per Innocenzo II non è avere Genova a Pisa dalla propria parte, bensì indurle alla concordia, indispensabile per un'azione concreta. Il pontefice prende in pugno la situazione e, convocati gli ambasciatori genovesi, esige dai rappresentanti di entrambe le città un giuramento di pace e l'impegno ad accettare le condizioni che verranno elaborate. Queste vengono rese pubbliche tramite due documenti, datati 25 marzo e 25 maggio, dirette al presule genovese; essi [..] fissano il dettaglio delle nuove dignità e funzioni a lui concesse. Per Pisa resta soltanto un atto del 20 marzo (quindi omologo al primo destinato alla città rivale) con lui il pontefice ingiunge ai cittadini il rispetto delle clausula fissate, anche se pesanti. E' stata ipotizzata l'esistenza di un altro documentopontificio poi perduto, emesso in favore dell'arcivescovo pisano in parallelo a quello indirizzato il 25 marzo al suo collega genovese. Se esso fu redatto, resta aperto il problema dell'estensione del suo contenuto, dato che la prima attestazione scritta a noi nota della delle concessioni papali a Pisa risale a cinque anni più tardi – esattamente al 22 aprile 1138 – e che ignoriamo se essa sia una conferma oppure un ampliamento dell'eventuale atto precedente. Ma sussiste anche la valida ipotesi che nel 1133 gli impegni a favore di Pisa siano stati presi dal papa solo verbalmente, sia pure con una pubblica solennità. [..] In quanto a Pisa, il danno costituito dalla perdita della corsica è compensato da altre acquisizioni o, più precisamente, dalla disponibilità papale alla loro attribuzione. L'atto del 1138 indica in che direzione bisogna guardare: si tratta dei diritti metropolitici sulla diocesi di Populonia – sul continente – e su quelle di Civita e Galtelli – in Sardegna – e dei diritti primaziali sull'arcidiocesi di Torres, sempre in Sardegna; ciò si aggiunge alla legazia nell'isola, già atttribuita al presule pisano da Urbano II. (cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp.82-84). | - | [..] la cura con cui è mantenuto l'equilibrio tra Genova e Pisa: allo scopo di dividere le due diocesi còrse in numero eguale, ne viene istituita una nuova; le dignità formali e i diritti dei due metropoliti omologhi sono stabiliti con la bilancia. Insomma, la costruzione della pace è calibrata con puntigliosa e raffinata abilità. [..] Quando si pongono le basi degli accordi con ogni probabilità Bernardo è presente. Presto, al massimo nel febbraio, ha raggiunto Innocenzo a Pisa (E.Vacandard, Vie de Saint Bernard abbé de Claivaux, Paris 1920, I, p. 333). Il primo viaggio in Italia dell'abate è compiuto per prestare di persona al suo papa, nel momento chiave del duello, quella collaborazione già rivelatasi tanto efficace oltralpe. [..] bernardo pone le proprie capacità al servizio di un rapido epilogo e parte per Genova. [..] Gli elementi basilari dell'accordo sembrerebbero conosciuti e apprezzati dai Genovesi: l'abate non viene per negoziare su grossi temi, ma piuttosto - come egli scrive chiaramente rievocando l'episodio – per spuntare qualche concessione aggiuntiva, come la liberazione dei prigionieri pisani e il ritorno in patria per esuli e carcerati; soprattutto chiede tempi rapidi  nella corresponsione degli aiuti concreti ('..metum hostibus, confusionem schismaticis, gloriam Ecclesiae..'). Tutto gli viene accordato in un delirio di commozione per la sua presenza. [..] E bisogna dire che Bernardo ha centrato nel segno. La città onora gli impegni con sollecitudine, anche se senza un grande sforzo. Ma presto appare evidente che la lotta richiede un impegno molto maggiore, mentre le forze imperiali si allontanano e Innocenzo II è costretto a ritornare a Pisa; ssoprattutto quando è chiaro che la partita va giocata contro la potenza normanna, la disponibilità ligure si raffredda. Genova allestisce subito una squadra navale – per la verità di sole otto imbarcazioni – che, a fianco di quella pisana, fornisce appoggio costiero (con la conquista di alcuni capisaldi) allo spostamento verso sud di papa e imperatore; anche la parziale conquista di Roma si giova della flotta. [..] in linea ideale Genova resta fedele ai suoi impegni. Tra il maggio e il giugno 1135 l'arcivescovo Siro è a Pisa. Partecipa a quel concilio che, tra l'altro, conferma la scomunica per Anacleto II e prende una serie di disposizioni a danno di Ruggero. [..] soprattutto, sono ripristinate a favore di chi riprenderà le armi contro di lui le indulgenze stabilite da Urbano II nel concilio di Clermont per coloro che partivano per Gerusalemme: ciò significa equiparare la lotta nel Mezzogiorno d'Italia a uan crociata. [..] Non abbiamo notizia di attività genovese nella preparazione dell'ampia intesa contro Ruggero e nelle imprese militari successive. Se ha partecipato a questa fase della lotta, Genova si è mossa alla fine, con un intento contro Salerno, sia pure molto deciso. (L'unica notizia di azioni genovesi viene dall'Annalista Sassone, che scrive di una partecipazione all'assedio di Salerno 'a parte maris' nel 1137 con ben 80 imbarcazioni: Annalista Saxo, a cura di G.Waitz, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptorum, VI, Hannoverae 1844, p. 774). (cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp. 88-91).

[7] ): (cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p.76): [..]. Basta pensare alle prime mete di Innocenzo II fuggiasco. Posto nelle necessità di lasciare Roma, nella seconda metà del maggio 1130 con due piccole imbarcazioni egli salpa dal porto Tiberino: la prima tappa è Pisa, la seconda Genova. Nelle due città l'esule è ricevuto come 'il papa', senza riserve sulla sua legittimità; l'accoglienza pisana è addirittura trionfale con un interessante sfondo di orgoglio comunale. (in nota:) Incontro a Innocenzo appena giunto si precipitano 'honorati viri et consules' ringraziano il fuggiasco per l'onore di essere stati scelti e gli mettono la città ai piedi, per così dire: 'Tua est .. civitas, nos populus tuus.. Nos nec servi sumus nec domini, sed concives et fratres'. [..] colui che narra i fatti e usa questo linguaggio non è un cronista orgoglioso della propria città, bensì il biografo di Bernardo, originario di tutt'altro mondo ma, si direbbe, convertito alle glorie comunali: Ex libris de vita et miraculis Sancti Bernardi Claravallensis abbatis, in Monumenta Germaniae Historica, Scriptorum, XXVI, Hannoverae 1882, p. 100) 

[8] ): Egli però non venne in Italia come fondatore di monasteri. Quando vi mise piede per la prima volta agli inizi del 1133, era diretto a Pisa, chiamato da Inocenzo II, perché gli fosse vicino e collaboratore nel guadagnare quella cospiqua parte dell'Italia che era rimasta ancora dalla parte di Anacleto II. Non soltanto quella prima visita, ma anche quelle due successive si ricollegano al dramma del noto scisma papale del 1130 'che dividendo la compagine ecclesiastica per otto anni e impegnando nella contesa, a favore dell'una o dell'altra obbedienza, tutte le forze politiche dell'Occidente cristiano, supera per l'ampiezza dei suoi riflessi i pur larghi confini del mondo monastico'. - (Cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p. 150).   

[9] ): [..] la prima venuta in Italia dell'abate all'inizio del 1133 [al massimo nel febbraio], quando, in risposta al pressante invito di Innocenzo II lo raggiunse per offrirgli il suo aiuto (in nota: nei primi mesi del 1133, Bernardo, chiamato da Innocenzo II, raggiunse il papa a Pisa e venne subito impegnato nelle trattative di pace tra questa città e Genova). A questo viaggio, sempre durante lo scisma, ne seguirono altri: un secondo tra la primavera del 1135 e il novembre dello stesso anno, quindi un terzo, quindi un terzo, dal febbraio del 1137 all'inizio di giugno del 1138. – (cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p.30). | - | bernardo da qualche mese era arrivato in Italia per la prima volta, dietro la esplicita richiesta del papa aveva subito utilizzato la sua opera nelle trattative miranti alla conclusione di un trattato di pace tra Pisa e Genova. Si mise poi al seguito del papa, e si trovava appunto al suo fianco quando questi, sostenuto dall'esercito imperiale, potè entrare a Roma il 30 aprile. [..] Lotario, pur riuscendo a entrare in città, non potè scacciare Anacleto da castel s.Angelo, né consentire l'ingresso di Innocenzo II in s.Pietro. Poco dopo l'incoronazione imperiale, inoltre, avvenuta in s.Giovanni in Laterano, una volta che Lotario ebbe lasciato Roma, Innocenzo II, privo dell'appoggio dell'esercito tedesco, fu costretto nuovamente a prendere la strada di Pisa [estate 1133]. Roma così non era più il centro della cristianità agli occhi dell'abate che pertanto poteva scrivere: 'Assumitur Pisa in Locum Romae, et de cunctis urbibus terrae ad apostolicae sedis culmen eligitur' (in nota: Pietro di Pisa abbandonò Anacleto nell'autunno del 1137). Più felice fu indubbiamente la seconda visita romana di Bernardo, nel maggio del 1138. Dopo aver ottenuto un notevole successo personale, guadagnando l'adesione a Innocenzo II del cardinale Pietro da Pisa, uno dei più importanti sostenitori dell'antipapa, egli ebbe infatti la gioia di assistere alla fine dello scisma, scontata del resto dopo la morte di Anacleto. [..] (in nota 45:) dopo la morte del Pierleoni, avvenuta il 25 gennaio 1138, il suo successore Vittore IV, si sottomise a Innocenzo II 'in octavis Pentecostes' (ep. 317, OSB, VI/2, p. 336). cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp.38-39. | - | Finito lo scisma, bisogna arrivare al pontificato di Eugenio III per trovare ancora l'abate interessato a cose italiane [..]. E' ormai certo che Bernardo compì un quarto viaggio in Italia nel 1148, e proprio a seguito del papa. Ma fu un rapido episodio. L'abate infatti si limitò ad accompagnare per un tratto di cammino Eugenio III, il quale tornava dalla Francia; [..]. In primo luogo si può osservare che i giudizi espressi da Bernardo sulla situazione italiana, se si escludono i casi di Pisa e di Genova, sono molto spesso negativi. Nessuna riserva emerge infatti nei confronti dei genovesi, detti "plebes devota, honorabilis gens, civitas hillustris"; e Bernardo poteva ricordare con gioia e gratitudine il suo breve soggiorno nella città ligure. Quanto a Pisa, egli la chiamò 'pulchra inter civitates' e 'urbs fidelis' per l'appoggio e l'accoglienza offerti a Innocenzo II, nonchè per la costanza dimostrata contro Ruggero II; difese inoltre a spada tratta i pisani presso Lotario III per la loro fedltà al papato e l'impero, ed esaltò le imprese militari da loro compiute contro Ruggero II, anche se l'esito di alcune di esse non poteva definirsi brillante (epp. 130-140, OSB, VI/1, pp. 620-621, 620-623, 622-625). - cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp.32-34. | - | Quando Bernardo [..] fondò in Italia la prima figlia della sua Clairvaux, nel 1135, almeno quattro abbazie icstercensi vi erano già saldamente impiantate. - (Cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p. 147). 

[10] ): [..] Proprio allora scoppia il famoso conflitto con Abelardo, nel quale Guglielmo di Saint-Thierry arruola l'abate di Clairvaux. Quest'ultimo ha detto di essere favorevole agli studi di e a coloro che vi si dedicano (lettere: 205, 410). Ciò che è posto sotto accusa è un certo modo di meditare sui misteri di Dio. Bernardo esita dapprima ad impegnarsi, per la buona ragione «che ignorava fino ad allora quasi tutto» ciò di cui Guglielmo ha parlato (lettera 237). Ma una volta lasciatosi convincere ad intervenire, si lancia all'attacco di Abelardo con una foga che molti oggi stentano a comprendere e, soprattutto, ad approvare. Il motivo di cui si fa forte è la sua preoccupazione , non solo di preservare intatta la fede della Chiesa, ma che non si attenti all'amore totale che è dovuto a Gesù Cristo. Nell'ambito di queste due convinzioni profonde, la sua informazione sugli argomenti discussi è stata certamente carente; inoltre , si è lasciato vincere dallo stesso suo fervore nell'esprimere sentimenti di cui qualcuno si chiede se siano compatibili con la carità. Sappiamo comunque – e lui stesso lo afferma più di una volta – che tutta questa faccenda fu per lui occasione di sofferenza. – (cfr. San Bernardo Opere VI/1, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, p. XXIX).  

[11] ): Bernardo scrive per l'occasione un trattato che invita il neopapa a non illudersi su chi ha intorno: "...puoi mostrarmene uno che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto più si sono professati tuoi servitori, tanto più vogliono spadroneggiare"

[12] ): Sulla base di successi ottenuti in precedenza, al momento della prima crociata le due città sono in posizione di prestigio. Per pisa è il vescovo Dailberto che segue il papa nella predicazione della crociata, è a capo della flotta pisana e diviene patriarca di Gerusalemme, si apure con difficili vicende successive (C.Violante, Cronotassi dei vescovi e degli arcivescovi di Pisa dalle origini all'inizio del secolo XIII. Primo contributo a una nuova 'Italia sacra', in miscellanea Gilles Gerard Meersseman, Padova 1970, I, pp. 680-684). - cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p.77.

 

[13] ): con le sue lettere ha costituito se non proprio l'equivalente di un trattato sulla Chiesa, almeno un programma di vita e di riforma interiore per tutti i capi e tutti i membri della Chiesa. [...] la sua corrispondenza diventava in un certo qual modo anonima e universale; veniva pubblicata non tanto per il suo interesse per l'attualità, quanto perché esprimeva dei principi di vita monastica, una dottrina e una spiritualità. Bernardo desiderava che si conoscessero le idee che gli stavano a cuore, piuttosto che le circostanze e gli uomini che gli avevano offerto l'occasione di formularle. Quelle che erano lettere personali sono diventate, nel suo registro, documenti di dottrina e di storia che hanno un valore indipendente dal nome del destinatario. – (cfr. San Bernardo Opere VI/1, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, p. XVIII).

[14] ): Pietà, prima di tutto, per la miseria dell'uomo, condiscendenza per tutte le sue debolezze. Pur provando tanta avversione per il peccato, egli ama i peccatori. Da qui i consigli che invia a Rainaldo, abate di Foigny (lettera 73). Cristo ha sofferto le nostre pene; compatire gli altri è dunque partecipare ad uno stato del Cristo e imitarlo. La carità non è un sentimento di affezione naturale, ma è, per eccellenza, il dono dello Spirito Santo, attraverso il quale si diffonde in noi la misericordia che Dio prova per ogni uomo. Ecco quanto ha esposto nel suo trattato su i I gradi dell'umiltà. – (cfr. San Bernardo Opere VI/1, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, p. XXIII).

[15] ): Cluniacensi 

[16] ): scrive Bernardo a Ugo di Payns: "Una volta, due volte, tre volte mio carissimo Ugo, mi hai pregato di scrivere un'omelia per te e per i tuoi fratelli e di brandire la mia penna contro i tiranni ostili, poiché la lancia mi è vietata..."

 

[17] ): a tal proposito si può dire che la società cristiana dell'epoca era dominata dallo schema funzionale dei tre ordini: i religiosi, i combattenti e i lavoratori; Ordini, questi, che erano sempre stati separati tra di loro e rigorosamente subordinati per via gerarchica. Il clero aveva una posizione di dominio sugli altri due e i monaci, in particolare, costituivano il "livello" superiore del clero stesso.

[18] ): i partecipanti sono: Matteo, vescovo di Albano e legato pontificio, presidente, l'arcivescovo di Reims Rinaldo di Martigné, l'arcivescovo di Sens Enrico Sanglier e i loro suffraganti: Gocelin di Vierzy, vescovo di Soissons; Stefano di Senlis, vescovo di Parigi; Attone, vescovo di Troyes; Giovanni, vescovo di Orléans; Ugo di Montaigu, vescovo di Auxerre; Bucardo, vescovo di Meaux; Erleberto, vescovo di Châlons; Bartolomeo di Vir, vescovo di Laon; Rinaldo di Semur, abate di Verdelai (Vézelay), futuro arcivescovo di Lione e legato pontificio; Stefano Harding, abate di Cîteaux; Ugo di Mâcom, abate di Pontigny; Guido, abate di Toisffons (Trois-Fontaines); Orsino, abate di Saint-Rèmy di Reims; Erberto, abate di Digione; Guido, abate di Molesmes e Bernardo, abate di Clairveaux. Quindi: due arcivescovi, otto vescovi e quindici abati, e in oltre il segretario Giovanni Michiel e altri chierici. Prendevano parte al dibattito in qualità di consiglieri politici e militari anche Tebaldo IV, detto 'il Grande', conte di Champagne, Brie e Blois, Guglielmo II conte di Nevers, Auxerre e Tonnerre e Andrea di Beaudemant. La maggioranza di questi prelati e abati mirati era collegata in qualche modo con l'Ordine di san Benedetto; il loro pensiero era tutto di ispirazione cistercense.

[19] ): "Voi che avete rinunciato alle vostre personali volontà, voi che servite il re sovrano con cavalli e armi per la salvezza delle vostre anime, vogliate universalmente intendere il mattutino e tutto il servizio interamente secondo la regola canonica e l'uso dei mestieri regolari della santa città di Gerusalemme...", un obbligo di carattere assoluto che ammette una sola eccezione, precisamente definita, che dunque segna la priorità del servizio divino su quello militare. Priorità il cui fine è esaltare la fede per prepararsi immediatamente a morire per essa. "Sazio della carne di Dio ebbro e penetrato dai comandamenti di Nostro Signore, alla fine del divino servizio, nessuno abbia paura di andare alla battaglia, ma sia preparato a ricevere la corona", ossia la corona del martirio. A coloro che facevano questa scelta difficile senza mai divergere, era promessa la compagnia dei martiri. 

[20] ): all'obiezione che un cristiano non debba uccidere, Bernardo rispondeva: "Se al cristiano non fosse consentito l'uso della spada in alcuna circostanza, perché mai, allora, Giovanni Battista raccomandò ai soldati di accontentarsi della propria paga [Luca, 3:14]: perché piuttosto non proibì loro ogni forma di servizio militare? Se dunque, malgrado tutto si considera giusto tutto ciò, da quali mani e da quale forza armata meglio che delle loro, dal momento che hanno ricevuto l'ordinatura divina e non si sono dati migliori propositi [ad esempio monastici], potrebbe Sion, la città della nostra forzavenire tutelata a protezione di noi tutti? Una volta che i trasgressori della legge divina siano stati scacciati, lasciamo che i giusti, guardiani della verità, entrino in Gerusalemme con fiducia".

[21] ): quando in Terrasanta a Chastel Pélerin, castello tempalre circondato dal mare, Margherita di Francia, regina di San Luigi, dette alla luce un figlio, il Gran Maestro del Tempio fa da padrino al bimbo e ciò malgrado uno Statuto dell'Ordine vietasse a un Templare di assumere questa veste.

[22] ): Bernardo spesso impiega un linguaggio brutale, che a tratti pare cinico, per descrivere la vita condotta dei Cavalieri. Nel 1095 a Clermount, in un Discorso a papa Urbano II, scrive "E' una vera soddisfazione sapere che nella vasta moltitudine che si accalca verso la Terrasanta sono ben pochi coloro che non siano stati degli incredibili malfattori, saccheggiatori sacrileghi, omicidi, spergiuri, adulteri, la cui partenza dall'Europa costituisce senz'altro un doppio vantaggio: gli europei sono ben contenti di vederli andar via, e coloro in aiuto dei quali essi accorrono in Terrasanta sono ben deliziati di vederli arrivare! E' senz'altro vantaggioso per quanti vivono su entrambe le sponde del mare, dato che essi ne proteggono una, e cessano di molestare l'altra".

[23] ): è il caso [..] della parrocchia di Abbazia di Albino, in diocesi di Bergamo, dove la chiesa (sia come il monastero di Vallalta, che un tempo le era annesso) è intitolata a san Benedetto. Il culto per san Bernardo, introdottovi non si sa bene quando, ha generato la leggenda ([..] tuttora creduta in loco) che il monastero sia una fondazione cistercense, anzi bernardina, dal momento che sarebbe stata fondata dal vescovo Gregorio di Bergamo (lui pure erroneamente ritenuto cistercense) su consiglio di san Bernardo, che lo avrebbe incontrato al concilio di Pisa. - cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p. 198, n. 15. - Per tutta la questione cfr. A.Sala-G.Spinelli, La soggezione dell'abbazia di s.Lorenzo in trento all'abbazia di s.Benedetto di Vallalta nel quadro dei rapporti fra Bergamo e Trento nel Medioevo, in Contributi alla storia della Regione Trentino-Alto Adige. Miscellanea di studi storici per il X anniversario della rivista 'Civis', Trento 1986, pp. 59-77. 

[24] ): - cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p. 198. - E' questo il caso della parrocchia valtellinese di Monastero di Berbenno, oggi intitolata a san Benigno de' Medici, della cui complicatissima storia ci informa don Santo Monti, storico ottocentesco della diocesi comasca: 'Vogliano alcuni che la chiesa, prima intitolata a s.Bernardo, venisse poi detta di s.Benigno, ossia Bello, dal corpo di Benigno della famiglia dei Medici, che riposa in una artistica e preziosissima urna sotto l'altare maggiore [..] Fu fondata da tre fratelli della famiglia dei Ricci di Maroggia nell'anno 1292, i cui nomi erano Bernardo, Gottardo e Ghilardo, con un monastero e chiesa intitolata a s.Bernardo. Questa abazia fu conferita da Pio II a s.Benigno Medici, religioso eremitano della congregazione di s.Gerolamo di Fiesole [..] e primieramente è da osservare che la suddetta chiesa non era già a s.Bernardo abate di Chiaravalle dedicata, ma a s.Bernardo Mentonese, che alcuni hanno fatto canonico regolare, altri monaco cistercense, altri eremita, ma che niente fu di ciò, e fu semplice arcidiacono nella Chiesa d'Aosta nel Piemonte, come dai Bollandisti s'è scritto [..] L'iscrizione, quasi subito dopo la morte del B.Benigno scolpita a caratteri maiuscoli sopra la finestra della facciata della chiesa di Assoviuno, demolita nel 1776, ne faceva di ciò la fede, poiché alludeva all'accennato patrocinio di questo santo contro demoni, ed era tale: 'Bernardi hoc jam diu erat defendentis a daemone templum, Nunc abbatis Belli dictum recte Benigni patet'. E nel vero, scrive Carlo Bascapè vescovo di Novara, che la santità di questo Bernardo arcidiacono, defunto nel 1008, in età d'anni 85, in tutte le regioni che sono nell'Alpi, e che di qua e di là contiguo giacciono, largamente con incredibil venerazione era celebrata; onde, senza dubbio, anche nella Valtellina, doveva aver culto questo Santo; e come a difenditor dai demoni, quei fratelli Ricci, da essi infestati, dovevano aver avuto ricorso. Ben ciò, che in essa iscrizione si aggiunge, che questa chiesa si cominciasse ad appellar di S.Bello, allora che Beningno vi fu sepolto, è senza dubbio un'immaginazione sognata e falsa. S.benigno finì di vivere nel 1472, e poi istromenti rimangono fin dal 1420, dove questa chiesa è appellata di S.Bello o di S.Belo [..] Perché poi in tali documenti sia la chiesa appellata s.Belli, Beli, Bellis e Belis, non saprei accertarlo. La sua (di san Bernardo s'Aosta) famiglia è chiamata dei signori Belforte (De dominis Bellifortis). Se da ciò sia sia provenuto, quasi quel Belli o Bellis sia abbreviatura di Bellifortis, ovvero provenuto dalla chiesa, che essendo piccola, fosse detta di s.bernardello, onde ne fosse fatto, per accorciamento, Bello, a me non è noto. Fatto sta che di presente ed in addietro ebbe ed ha il popolo di Assoviuno il pio costume di distinguere come giorno festivo il ventesimo d'agosto, dalla Chiesa universale sacrato alla memoria dell'abate di Chiaravalle, dal volgo creduto il titolare di quella chiesa vestusta, e rappresentato sul vecchio or demolito muro di prospetto, da una figura in abito monacale bianco, avente ai piedi il demonio incatenato'. cfr.: Ninguarda. La Valtellina negli atti della visita pastorale diocesana di F.Feliciano Ninguarda vescovo di Como, annotati a pubblicati dal sac. Santo Monti nel 1892, nuova ed. a cura di L.Varischetti e N.Cecini, Sondrio 1963, pp. 65-66, n. 2. Don Santo Monti ha posto anche qui il problema delle contaminazioni iconografiche tra l'abate di Chiaravalle e l'arcidiacono di Aosta, per cui si veda L.Dal Prà, Bernardo di Chiaravalle. Realtà e interpretazione nell'arte italiana, in Bernardo di Chiaravalle nell'arte italiana dal XIV al XVIII secolo, a cura di L.Dal Prà, Milano 1990. Catalogo della mostra, 9 giugno – 9 settembre 1990, p. 84, n. 51. Sembra infatti che il diavolo incatenato della tradizione iconografica bernardina sia derivato al nostro santo dal suo più antico omonimo, venerato come protettore contro i demoni. E' certo però che tale attributo iconografico ormai indica inequivocabilmente l'abate di Chiaravalle: stupisce perciò che R.Aprile, alla voce Bernardo di Aosta, in Bibliotheca Sanctorum, I, Roma 1962, col. 1332, abbia citato due immagini del nostro santo (riprodotte alle coll. 1327-1330), indiscutibilmente rivestito dell'abito cistercense, come testimonianze iconografiche dell'arcidiacono di Aosta. - (cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp. 198-200, n.16).

[25] ): per attualmente si intende la situazione antecedente al 30 settembre 1986, allorché in attuazione del nuovo Concordato tra Santa Sede e Stato Italiano l'autorità ecclesiastica ha proceduto ad un radicale ridimensionamento del numero prima delle diocesi e poi anche delle parrocchie. In conseguenza alcune delle chiese intitolate a san Bernardo, che prima del 1986 erano parrocchiali, ora non lo sono più [..] 'chiese parrocchiali' [..] queste sono le uniche chiese, di cui si è in grado di fare un censimento attendibile, essendo praticamente impossibile censire tutte le altre chiese e cappelle, sia pubbliche che private, di cui molte volte neppure le curie diocesane posseggono l'elenco completo. - (cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p.197, n. 13).

[26] ): (cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp.196-197).

[27] ): - cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p. 194.

[28] ): cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp. 197-198, n. 14. – si vedano al riguardo: G.Viti, I Cistercensi in Italia, e L.Dal Prà, Abbazie cistercensi in Italia, in appendice a L.J.Lekai, I Cistercensi, ideali e realtà, trad. dall'inglese, certosa di Pavia 1989, pp. 502-587. Per la Puglia cfr. anche la miscellanea San bernardo e i Cistercensi in Puglia, Noci 1991 (Quaderni dell'Istituto di Scienze Religiose. Diocesi Conversano-Monopoli, 3), pp. 68-69.

[29] ): sotto forma di candida rosa (con al centro la Vergine) gli angeli e i beati si mostrano a Dante: 'il viso color di  fiamma, le ali dorate e il resto della figura più bianco della neve'.

[30] ): La preghiera, riportata da Dante in testa al canto XXXIII del Paradiso, "Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio, umile e alta più che creatura, in termine fisso dell'eterno consiglio" con cui Bernardo invoca la Vergine per l'intercessione, è chiamata Preghiera dei Templari.

[31] ): Historie dell'Antichissima Città di Pisa dalla Caduta prima  della Repubblica in qua 1406 e seconda 1509 con un brevissimo  elogio della sua antica grandezza fatta da me Giuseppe Setaioli  suo Cittadino l'Anno 1650 secondo lo stile pisano. Parte prima. pp 16. [A.S.P.]

[32] ): cfr. San Bernardo Opere VI/1, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, pp. 612-13, lettera 130, nota I. – cfr. anche in testa a San Bernardo Opere VI/2, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1987: AVVERTENZA – Le lettere di san Bernardo sono comprese in tre collezioni distinte. La più antica è il corpus epistolarum che comprende le prime 130 lettere, costituito poco dopo la morte del santo. [...] Vi sono poi altre collezioni extra corpus. La prima, chiamata series antiqua, comprende le lettere 311-495 dell'edizione pubblicata nel 1845 dal Migne nel volume 182 della Patrologia Latina. In questa collezione sono confluite le lettere pubblicate dagli editori del '600, J.M.Horstius e J.Mabillon; quest'ultimo curò due edizioni, la prima nel 1667, la seconda notevolmente accresciuta nel 1690, poi ristampata nel 1726 da E.Martène che l'arricchì di altre lettere da lui scoperte. Quest'ultima edizione fu più volte ristampata finchè entrò nella Patrologia Latina. Il Migne a sua volta vi aggiunse altre lettere già fatte conoscere da diversi studiosi (Amaduzzi, Boczek, De Levis, Gerbert) e la concluse con una ventina di lettere indirizzate a san Bernardo. In questa collezione eterogenea non mancano lettere spurie e di dubbia autenticità, doppioni (o meglio lettere riutilizzate, come era uso nella cancelleria di Clairvaux) a lettere di altri personaggi del secolo XII oltre a quelle indirizzate a san bernardo. L'edizione dei Sancti Bernardi Opera, Roma 1957-1977 ha pubblicato solo opere ritenute autentiche e altre tre (122, 194, 267) collegate con l'epistolario bernardino. [...] La seconda collezione extra corpus, chiamata series nova, comprende le lettere 496-547 pubblicate, dopo l'edizione della Patrologia Latina [...]. – (F.Gasteldelli). | delle oltre 540 lettere di Bernardo giunte fino a noi, ben 105, cioè un po' meno di un quinto, sono indirizzate a papi, e si estendono in unperiodo di ventinove anni (l'elenco di queste lettere è contenuto in: A.Ambrosini, Bernardo e il papato, p. 61, nota 7). Messe in relazione a tutti gli interventi di Bernardo presso i pontefici, dunque, le epistole riguardanti le questioni italiane sono poco numerose, e si concentrano in due gruppi di anni; il primo corrisponde a una fase particolare della vita di Innocenzo II: quello della lotta contro Anacleto e i suoi sostenitori; l'altro coincide con l'intero pontificato di Eugenio III. - cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p.30.

[33] ): (cfr. San Bernardo Opere VI/1, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, p. 634, lettera 140, nota I) – Le guerre di Pisa contro Ruggero II, quali ne fossero gli scopi e gli esiti, vengono inquadrate da san Bernardo nel più ampio contesto della lotta all'antipapa; questa era poi sede temporanea di Innocenzo II e sua sicura alleata, e peraltro elemento strategico delicato da raccordare il meglio possibile con il più forte sostenitore del papa, l'imperatore Lotario. Da qui l'esaltazione di imprese pisane tutt'altro che memorabili, il richiamo di sconfitte avvolto in un'atmosfera da epopea per controbilanciare le critiche che se ne facevano alla corte imperiale. La guerra che san Bernardo rievoca qui, si inserisce in un momento particolare della rivolta dei vassalli di Ruggero II, quando nei primi mesi del 1135 si sparse la voce (falsa) della sua morte. Profittando del supposto vuoto di potere che si produce nei momenti delle successioni, i pisani inviarono nel mese di aprile una flotta di 20 galee con 8.000 uomini a Napoli e subito riprese la guerra. Ma ecco che all'improvviso il 5 giugno ricompare il re, deciso a punire i ribelli, specialmente il cognato Rainulfo di Alife. Per aiutare la resistenza, i pisani mandano un'altra flotta di 46 galee, secondo quanto raccontato dagli Annali pisani (Monumenta Germanie Historica, Sciptores 19, p. 240). Il 4 agosto, i Pisani assaltano Amalfi, che, incautamente sguarnita di truppe, cade subito e viene saccheggiata; lo stesso giorno prendono e saccheggiano Atrani (nella lettera di san Bernardo Atturnia), il giorno dopo Pogerola (non citata da san Bernardo), Ravello e Scala (gli Annali precisano Scabella maiori et minori), il giorno successivo assediano Fratta, di cui san Bernardo non parla: qui i Pisani sono sorpresi da Ruggero II e definitivamente sconfitti. Imbarcatisi con tutta fretta con il bottino (nel quale vi sarebbero state, secondo la leggenda, anche le Pandette di Giustiniano) ritornano a Pisa, senza omettere di devastare Ischia come vien detto con la solita secchezza dagli Annali: « Post hec Pisani...Isclam maiorem regis insulam devastaverunt. Sic Pisa reversi sunt ». Un particolare, quest'ultimo, che san Bernardo omette, il quale conclude: « O quantum meruere Pisani ». [...].

[34] ): (cfr. San Bernardo Opere VI/2, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, pp. 664-666, lettera 505). Lettera 505 – A Baldovino arcivescovo di Pisa – gli parla e lo esorta con affetto. – Al signore e cordialissimo amico Baldovino, per grazia di Dio arcivescovo di Pisa, il fratello Bernardo, invitandolo ad abbandonare « nella speranza e virtù dello Spirito Santo ». Ho ricevuto la lettera che testimonia il vostro santo desiderio e la grande vostra cordialità per me. E il vostro affetto non s'inganna perché desiderate chi vi desidera e amate chi vi ama. Se potessi offrirvi una ricompensa, preferirei avervi con me più volentieri di quanto vi leggo. Volesse il cielo che non fossimo lontani l'uno dall'altro! Ma ciò è fuori d'ogni speranza: potessi almeno meritare qualche vostra rara visita! Ma anche questo è nelle mani di Dio. Siamo servi di un solo Signore, alla Cui volontà tutti e due noi dobbiamo obbedire, guardandoci dal fare ciò che vogliamo. Egli ha posto anche voi a illuminare le folle. Se irradiate luce, ciò non rimane nascosto; e anche se ciò non accade, neanche questo sfugge. Del resto « non può rimanere nascosta una città posta sopra un monte » né una lucerna sopra un candelabro. Son pienamente visibili e la sua tenebra e la sua luce. E' ineluttabile che gli giunga da parte di tutti o l'esultanza o l'insulto. Com'è facile star nascosto sotto un moggio che non far luce trovandosi sopra un candelabro è inevitabileo che sparga luce o che diffonda puzzo. Certo Paolo non puzzava, perché non era sale scipito. Come poteva puzzare chi rendeva onore dunque al suo ministero? E così « il buon odore di Cristo » era « dovunque ». E per quanti oggi v'è « il profumo della vita per la vita »! Beato colui che a cui si dice: « Correremo dietro il profuo dei tuoi unguenti ». E' lo stesso che si dicesse: Correremo alla luce dei tuoi raggi; niente di diverso dal dire: Traiamo profitto dall'esempio dei tuoi costumi e delle tue azioni. Perciò i santi olezzano di soave profumo e irraggiano luce. Quanti peccatori Giovanni col suo esempio faceva correre alla penitenza. Infatti splendeva di luce e spandeva soave profumo, perché la sua fama era divulgatissima e la sua vita un esempio di continenza. Insomma « egli era la lucerna fiammeggiante e risplendente », posta in cima, e da un elevato candelabro somministrava e tutti la luce della virtù e diffondeva ovunque un soave profumo. Voglio che imitiate Giovanni: « Risplenda la vostra luce in cospetto agli uomini », sì che splenda anche al cospetto di Dio e si dica anche di voi « egli era luce fiammeggiante e risplendente ». Una cosa è necessaria a voi, un'altra ai vostri. Risplende bene chi è acceso dal proprio fuoco interiore. Quanti non risplendono di luce propria! Gl'ipocriti bramano d'irrigare luce, ma non vogliono ardere. Invece delle due conviene di più ardere senza irraggiare luce che irraggiare luce senza il fuoco che dentro accende. Insomma, dice il Vangelo, « che cosa voglio se non che arda? ». La luna risplende, ma non arde e quindi subisce un difetto, perché non splende di luce propria, ma come si dice di quella del sole. Perciò forse la Scrittura dice che « lo stolto muta come la luna, il saggio perdura come il sole ». Giustamente paragona al sole il saggio che porta entro di sé il fuoco di cui risplende, perché non se n'interrompa la luce. Per questo « non cessa mai la carità », senza la quale non v'è saggezza. Non si cura di risplendere della lode altrui chi è contento della testimonianza della propria coscienza. Ma che faccio? Vi dico questo come se ritenessi necessario farvi la lezione. Ma gli è che « la bocca parla per la sovrabbondanza del sentimento » e, non so come, per un affetto palpitante nulla è abbastanza assodato. Perciò aggiungo qualcosa che fa al caso. Si dice che c'è con voi chi ama i doni, sì che uno della vostra casa si dice abbia ricevuto denaro di nascosto per cambiare un contadino. Cose del genere, anche se non macchiano la coscienza di chi non vi aderisce, possono però offuscarne la fama. Occorre dunque provvedere al « bene non solo al cospetto di Dio, ma anche al cospetto degli uomini », benchè io non sappia come possa essere scusata la complicità di chi, mentre potrebbe correggere tali errori, non li corregge. Saluto con la massima umiltà il fratello Angelo con tutta la vostra comunità monacale. In considerazione di colui che, col consenso di Dio, manderete al capitolo, manderò, se me lo richiedete, l'intera abbazia.

- (cfr. San Bernardo Opere VI/2, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, pp. 664-666, lettera 505, nota 1) -  [...] L'elezione ad arcivescovo di Pisa potrebbe essere avvenuta tra agosto e ottobre 1137 (cfr. C.Violante, Cronotassi dei Vescovi e degli Arcivescovi di Pisa dalle origini all'inizio del secolo XIII, in Miscellanea Gilles G. Meersseman, I, Padova 1970, p. 46). A questa elezione fa riferimento la lettera 144 di san Bernardo: « Quem Ecclesia vocavit ad aliud officium ». Morì il 6 ottobre 1145. L'Exordium magnum gli dedica un capitolo (ed. B.Griesser, cit., pp. 207-09) che pur celebrandone la santità, ne ricorda le responsabilità nella guerra tra Pisa e Lucca, che gli avrebbero meritato qualche fastidio nell'oltretomba. Il tema della lettera 505 è missione del vescovo, che deve essere luce tra le genti, e pertanto non deve essere tenuta nascosta (cfr. San Bernardo Opere VI/2, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, pp. 641-643, lettera 142), e insieme esempio di buone azioni che possano indurre i peccatori alla penitenza. Un tema abbastanza consueto nell'ascetica episcopale di san Bernardo, ma che per Baldovino riveste un significato più preciso, in quanto è vescovo della città che durante lo scisma di Anacleto era sede di Innocenzio II: « Assumitur Pisa in locum Romae » (cfr. San Bernardo Opere VI/1, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, pp. 612-15, lettera 130, rigo 14). Appunto per questo, la scelta di Baldovino per pisa doveva essere stata particolarmente ponderata dal pontefice, sia per l'affidamento della persona sia per la sua capacità politico organizzativa. Da Pisa il papa dirigeva la Chiesa e insieme organizzava la lotta contro l'antipapa; da qui aveva bisogno di supporti logistici e di strutture amministrative che solo l'arcivescovo della città poteva fornire o favorire d'accordo con le autorità civili. Bernardo, che s'era privato di buon grado di un eccellente collaboratore, ora si preoccupa che sia irreprensibile sotto ogni aspetto. A Baldovino era forse sfuggita qualche pecca della sua curia, che ne minacciava il buon nome; si diceva che qualche canonico accettasse denaro di soppiatto (pecuniam clam eccepisse dicatur) e ora san Bernardo lo comunica all'arcivescovo perché provveda: « Istiusmodi, etsi non consentientis, non laedunt coscientiam, famam tamen decolorare possunt » (cfr. San Bernardo Opere VI/1, F. Gasteldelli, Roma 1986, p. 668, lettera 505, righi. 1-3). La lettera termina con i saluti per un fratello Angelo non altrimenti conosciuto. Sembra un monaco cistercense, al quale san Bernardo propone di affidare la propria rappresentanza al capitolo generale di Cîteaux. Dalla lettera 145 [Agli abati radunati a Cîteaux] (cfr. San Bernardo Opere VI/2, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, pp. 652-655) sappiamo che san Bernardo non potè andare al capitolo, perché impegnato nel seguire la guerra contro Ruggero II nell'Italia meridionale, potrebbe essersi fatto rappresentare da questo Angelo latore della lettera di scuse, la 145 appunto. La data della lettera 505, se questo accostamento vale, potrebbe collocarsi tra agosto e settembre 1137.

[35] ): Il cronista Bernardo Marangone racconta che Engelberto avrebbe ricevuto da Innocenzo II l'investitura dei territori della contessa Matilde (Chronicon Pisanum, ad annum 1136, ed. F.Bonaini, in Archivio storico italiano, 6 [1845], p. 8); l'attendibilità di questa notizia è messa in dubbio da R. Davidshon, Storia di Firenze, I, trad. it., Firenze 1956, p. 615; cfr. anche W. Bernhardi, Lothar von Supplinburg, Leipzig 1879, p. 569. La data di questa lettera è il 1135. – cfr. San Bernardo Opere VI/1, a cura di F. Gasteldelli, Roma 1986, p. 613, lettera 130, nota I.

 

[36] ) : Cfr.: John N.D.Kelly, Grande dizionario illustrato dei papi – Oxford University Press. Piemme Edizioni. Casale Monferrato (AL) 1989. pp 449-451.

[37] ): L'elezione del cistercense pisano come successore di Lucio II morto in seguito a un attentanto – elezione peraltro non salutata con favore da Bernardo – era dettata non solo da considerazioni riformatrici nel Collegio cardinalizio di cui facevano parte in quel momento tre cardinali pisani, ma anche la difficile situazione politica a Roma. L'elezione ebbe luogo nel refettorio del monastero di s. Cesario sul palatino il giorno stesso della morte di Lucio (15 febbr. 1145), l'intronizzazione avvenne subito dopo nel Laterano. Ma già nella notte fra il 16 e il 17 febbraio il nuovo papa era costretto ad abbandonare la città in rivolta. Fu consacrato la domenica di Exurge, il 18 febbr. 1145, nel monastero di Farfa. Non si conoscono i motivi che spinsero l'abate Bernardo a scegliere il nome di Eugenio. In alcuni compendi storici del Medioevo, come ad es. nella cronaca di Martino di Trappau o nei Flores temporum, E. III viene qualificato come «simplex». Questo attributo non costituiva necessariamente un giudizio negativo, ma indicava piuttosto la rettitudine del monaco e non contrasta neanche con le funzioni di comando esercitate da E. III a Pisa e a Roma prima della sua elezione. (Dizionario Biografico degli Italiani – Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1993, vol. 43, p. 490). 

[38] ) : Eugenio III, il quale prima di diventare papa, era statoproprio il primo abate cistercense del monastero, impose che nella carica abbaziale gli succedesse il priore di Clairvaux, Rualeno; né volle in alcun modo accedere alle reiterate richieste di Bernardo quando questi si fece portavoce delle suppliche di Rualeno, abate controvoglia, che spasimava dal desiderio di tornare nel monastero di origine. - cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p.33. | - | E. III non stabilì mai buoni rapporti con i Romani. Durante il suo pontificato, durato otto anni, quattro mesi e tre settimane, potè soggiornare a Roma complessivamente solatnto un anno e mezzo scarso. Nei primi anni la sua residenza preferita fu Viterbo (dall'aprile 1145 in poi), più tardi (dal 1149 in poi) Tuscolo, Ferentino e Segni. Il potere a Roma era infatti nelle mani del Senato, restaurato nel 1144 secondo il modello antico, con alla testa il patricius Gioradno Pierleoni discendente da una famiglia di ebrei convertiti e fratello dell'antipapa Anacleto II morto nel 1138. E. III scomunicò Giordano nel 1145, ma alla fine dell'anno giunse ad un accordo con i Romani, accordo che, se da un lato prevedeva il riconoscimento del Senato da parte del pontefice, dall'altro restaurava l'ufficio del prefetto dell'Urbe nominato dal papa. Grazie a questo accordo E. III potè rientrare a Roma (o piuttosto a Trastevere), ma il suo soggiorno durò soltanto fino al marzo 1146. Ben presto, infatti, Arnaldo  da Brescia, che pure nel 1145 a Viterbo si era sottomesso al papa, divenne la guida spirituale dei romani. Il 15 marzo 1148, E. III esortò con una lettera i cittadini a guardarsi dall'influenza esercitata da Arnaldo. Ma le sue raccomandazioni non furono accolte: nell'autunno del 1149 il Senato invitò il re tedesco Corrado III a Roma per ricevera la corona imperiale dal popolo romano e per stabilirvi la sua residenza. L'invito rimase inscoltato, ma E. III potè tornare a Roma soltanto per un breve periodo (novembre 149 – giugno 1150) grazie all'aiuto militare normanno. Rientrò a Roma un'ultima volta nel dicembre 1152, questa volta con la mediazione tedesca, dopo che i Romani avevano messo due consoli alla testa del Senato, composto di duecento membri, e progettato una nuova incoronazione imperiale. (Dizionario Biografico degli Italiani – Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1993, vol. 43, p. 491). | - | Nel 1143, come è noto, la volontà autonomistica della ciità [Roma] nei confronti della politica papale si espresse nella "renovatio senatus", cioè nella istituzione di una magistratura cittadina che nel nome si richiamava a un periodo glorioso, precedente alla affermazione dei pontefici sul piano temporale. La situazione, già tesa sotto Innocenzo II, era precipitata quando un anno dopo, durante il pontificato di Lucio II, il popolo istituì accanto al senato un patricius, nella persona di Giordano Pierleoni, reclamando tutte le regalie, dentro e fuori la città: al pontefice sarebbero rimaste solo le decime e le offerte. Lucio II tentò di opporsi con la forza al moto rivoluzionario, ma senza risultato; venne anzi a morte: in seguito ad una ferita riportata nell'assalto al Campidoglio [..]. In questa situazione, il 15 febbraio 1145 fu eletto papa, con il nome di Eugenio III, l'abate cistercense delle Tre Fontane, che lasciata la città per non essere sottoposto a pressioni insostenibili, venne incoronato a Farfa. Ciò determinò in Roma una violenta reazione: la carica di prefetto, di nomina papale, fu abolita principi e nobili vennero costretti a far atto di sottomissione al patrizio, numerosi torri furono distrutte, le case dei cardinali saccheggiate, i pellegrini derubati o uccisi. Eugenio III, un pò ricorrendo alla forza, un po' alla diplomazia, un po' alla elargizione di donativi in denaro, riuscì a rientrare a Roma per il natale del 1145; dovette però lasciare di nuovo la città alla fine del seguente mese di gennaio. cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp. 41-42.

[39] ) : Euenio III, papa. – Quasi nulla si sa della sua vita prima che egli, il 15 febbr. 1145, salisse al soglio pontificio. La storiografia pontificia ufficiale del Medioevo riferisce soltanto che prima dell'elezione si chiamasse Bernardo ed era stato abate nel monastero dei ss. Anastasio e Vincenzo «ad Aquas salvias in Trium Fontanium». Non si conoscono né la data di nacsita né le tappe della sua carriera, che gli storici hanno tentato di ricostruire ricorrendo spesso a speculazioni e teorie insostenibili. I documenti permettono soltanto di stabilire con una certa sicurezza – ammesso che si possa effettivamente identificare il Bernardo dei documenti con il futuro papa – che nel 1115 era monaco e chierico e nel 1128 priore del monastero camaldolese di s. Zeno e Pisa e che poi, al tempo dell'arcivescovo Uberto (1132-1137), ricoprì, almeno dal 1135 al 1137, l'ufficio di vicedominus nella stessa città, per poi diventare nella prima metà del 1141, forse in connessione con il soggiorno di Bernardo di Chiaravalle in Italia, abate del monastero dei ss. Anastasio e Vincenzo a Roma, restaurato e affidato da papa Innocenzio II a cistercensi. Secondo lo storico pisano cinquecentesco raffaello Roncioni, E. III era nobile e apparteneva alla famiglia paganelli di Montemagno (cfr. Gleber, pp. 179 ss.), ma quest'affermazione contrasta con con la testimonianza di s. Bernardo che defin' E. III «homo rusticanus» (Opera, VIII, p. 114), qualifica che lascia pensare piuttosto a origini contadine o per lo meno modeste. La sua nascita a Montemagno di Camaiore è contraddetta inoltre dall'iscrizione sepolcrale in s. Pietro, dove si afferma «Pisa virum genuit» (R.U. Montini. Le tombe dei papi, Roma 1957, p. 196). Qualcuno sostiene che il nome del futuro papa fosse stato Pietro, quello di suo padre Giovanni; quest'affermazione deriva dall'erroneo riferimento ad E. III di un documento. Costantino gaetani scrisse nel 1723 che la madre del papa si chiamava Maria Gajetana, ma si trattava indubbiamente di un'affermazione dettata da interessi genealogici (cfr. Gleber, p. 179 ss.). Secondo un'altra tradizione , risalente già al Medioevo, E. III, prima di diventare papa sarebbe stato anche cardinale. In questo caso si tratta evidentemente di una confusione del monastero di ss. Anastasio, di cui E. III era stato abate, con l'omonima chiesa titolare. (Dizionario Biografico degli Italiani – Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1993, vol. 43, p. 490).

[40] ): Negli anni 1147 e 1148 E. III, spinto dagli avvenimenti nell'Oriente cristiano, aveva fatto un lungo viaggio in Francia. La riconquista di Edessa da parte degli infedeli (1144) aveva preoccupato il papa già prima che nel novembre 1146 il vescovo siriano Ugo di Gablah giunse a Viterbo con notizie più precise, sollecitando aiuti. Il I° dic. 1145 a Vetralla E. III aveva emanato la bolla Quantum praedecessores con la quale invitava alla crociata, bolla rinnovata il 1° marzo 1146 a Trastevere. Il papa sperava soprattutto nel concorso dei cavalieri francesi, visto che re Luigi VII aveva dichiarato la propria disponobilità già nel Natale 1145 durante una dieta celebrata a Bourges. La partecipazione dei Tedeschi dovette essergli invece meno gradita, perché contava sul loro aiuto nel conflitto con i Romani. Tuttavia, un anno più tardi, anche molti principi tedeschi e il re Corrado III stessopresero la croce a Spira, spinti dalla predicazione di s. Bernardo. Nell'aprile 1147 E. III autorizzò i principi della germania settentrionale ad organizzare una crociata contro gli Slavi pagani (i Sorabi); nello stesso anno dette a Alfonso VII di Castiglia il consenso per una spedizione miltare contro i musulmani nel contesto della reconquista iberica. Nell'estate 1146 erano state condotte trattative con l'imperatore Manuele I di Bisanzio, sempre a proposito della crociata; il 5 ott. 1146, da Viterbo, E. III ordinò infine al clero italiano di predicare la croce. Ma nonostante i suoi sforzi il papa non riuscì a conservare il controllo dell'impresa. E. III iniziò il viaggio in Francia partendo nei primi giorni del 1147 da Viterbo con un seguito di almeno diciassette cardinali. In base alle bolle emanate durante questo viaggio è possibile ricostruire il l'itinerario seguito dalla corte pontificia. Il 13 genn. 1147 E. III fu a Marturi presso Poggibonsi, l'8 febbr. a Lucca, il 12 febbr. a Pontremoli, il 2 marzo a Vercelli, il 7 marzo a Susa, il 9 marzo a Oulx e, dopo aver attraversato le Alpi, fu presente il 22 marzo a Lione e il 26 marzo a Cluny. L'incontro solenne con Luigi VII avvenne il 20 marzo a Digione, poi il papa e il re continuarono il viaggio insieme; il 6 aprile furono a Chiaravalle , il 10 aprile a Troyes, il 13 aprile a Provins a il 15 aprile a Meaux. La Pasqua fu celebrata il 20 aprile a Parigi  con grande solennità, che includevano l'incoronazione del re da parte del papa a St-Denis. Tuttavia, nel corso di una processione a St.e-Geneviève, scoppiarono violenti incidenti antipapali, provocati presumibilmente dai seguaci di Abelardo e di Arnaldo da Brescia che indussero il papa ad avviare una riforma monastica. (Dizionario Biografico degli Italiani – Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1993, vol. 43, pp. 491-492).  [...] Nella seconda crociata del 1147-1148 E. III si fece rappresentare dal cardinale vescovo di Porto, Dietwin, mentre il cardinale prete Guido di s. Crisognono accompagnò i crociati francesi. Il vescovo Anselmo di Havelburg funse invece da legato pontificio nel 1147, in occasione della crociata contro i Sorabi. [...] - (Dizionario Biografico degli Italiani – Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1993, vol. 43, pp. 491-93).

[41] ): il 17 giugno 1148, a Vercelli, Eugenio III consacrava la basilica di s.Maria alla presenza di 14 cardinali 'assistentibus ibi glorioso confessore beatissimo Bernardi Claravallensis Abbate ac Reverendissimis Archiepiscopo Mediolanensi, Gisulpho Vercellensi Episcopo et multis aliis Archiepiscopis..'. [..] Il pontefice era giunto a Vercelli il verso il 15 giugno. Egli proveniva dalla Francia, ove aveva celebrato il concilio di Reims e, dopo essersi fermato a Langres, riprendeva la via del ritorno in italia il 29 aprile, passando per Besançon, Losanna e giungendo in Piemonte verso la prima decade di giugno; la sua sosta nell'Italia settentrionale sarebbe durata qualche tempo, poiché aveva voluto convocare un sinodo a Cremona per comunicare ai prelati le decisioni prese a Reims. [..] l'abate potè con probabilità seguire il pontefice nel viaggio di ritorno dalla Francia, fermarsi a Vercelli per la cerimonia di consacrazione e, dopo una breve sosta a Chiaravalle della Colomba, rientrare a Clairvaux verso la fine di giugno (B.Jacqueline, Episcopat et Papauté chez saint Bernard de Clairvaux, Saint-Lô 1975, p. 72. L'autore avvalora l'ipotesi di un quarto viaggio in Italia del santo basandosi anche su una relazione, mai pubblicata, tenuta da L.Grill dal titolo Iter quartum Sancti Bernardi in Italiam 1148 durante il convegno di studi storici cistercensi, svoltosi a Chiaravalle della Colomba nell'ottobre del 1953, Cfr. E.Vacandard, Vie de S.Bernard, abbé de Clairvaux, II, Paris 1895, p.562). - (Cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp. 142-146).

[42] ): Quasi quaranta lettere e in primo luogo i trattati De consideratione ad Eugenium papam, scritti da s.Bernardo tra il 1148 e il 1153 (pubblicato da J. Leclercq e H. Rochais in Sancti Benardi Opera, III, Romae 1963, pp. 379-493), testimoniano del legame, sempre vivo, tra il maestro e l'allievo salito sul trono di s.Pietro. - (Dizionario Biografico degli Italiani – Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1993, vol. 43, p. 490).

[43] ): A partire dalla metà del sec. XVI ilnome di Eugenio III compare nei libri memoriali liturgici dei cistercensi e il 3 ott. 1872 Pio IX, su richiesta generale dell'Ordine, lo proclamò beato, stabilendo come anniversario il giorno della sua morte (8 luglio). [...] Il pontificato di Eugenio III segna, secondo l'opinione corrente, la fine dell'epoca delle riforme.  – (cfr. Dizionario Biografico degli Italiani – Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1993, vol. 43, p. 495). 

[44] ) : Enciclopedia dei papi, Istituto della enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 2000, Vol. II, p.279.

[45] ): Dizionario Biografico degli Italiani. Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani. Roma, 1963, Vol V, pp. 530-531. | - | cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, pp. 69-70: [..] in quanto a Pisa, i rapporti nascono e si sviluppano all'insegna della conoscenza diretta. Quando l'abate per la prima volta scende in Italia, al massimo nel febbraio 1133, per raggiungere Innocenzo II, subito si reca a Pisa, dove il pontefice per il momento risiede. Vi ritorna nel 1135 per partecipare al concilio cui si è fatto cenno. Ancora una volta, all'inizio del 1137, si dirige verso la città toscana (ma non sappiamo se la raggiunge), sempre per incontrare il papa alla vigilia di una fase cruciale nella lotta in atto contro Anacleto II. Questa frequentazione – i cui dettagli restano nell'ombra – è alla base di due lettere, destinate rispettivamente ai pisani medesimi e all'imperatore Lotario, probabilmente scritte nel 1135. A interesse generale per tutta la città assurgono i rapporti con un suo figlio, inizialmente caratterizzati dal tono privato, ma destinati a evolvere verso un respiro più vasto. Naturalmente mi riferisco a quel Baldovino pisano che, fattosi monaco a Clairvaux, divenne con ogni probabilità il primo cistercense insignito della dignità cardinalizia e poi, tra l'agosto 1137 e l'aprile 1138, arcivescovo di Pisa. Quest'uomo, vicino al suo abate con un rapporto devoto e affettuoso, quale presule di fresca nomina è il destinatario di una nuova lettera.

[46] ): [...] Nel 1137 fu eletto arcivescovo di Pisa e primate di Sardegna e Corsica; [...] – (cfr. Claudio Casini, Santorale Pisano - santi e beati in una raccolta di disegni. ETS, Pisa 1993, p. 50).

[47] ) : i primi diritti ecclesiastici attribuiti a Pisa sulla Corsica – dapprima di tipo verticale, poi arcivescovile – datano al 1077 e al 1092. (cfr.: aa.vv. San Bernardo e l'Italia, a cura di P.Zerbi, atti del convegno di studi, Milano, 24-26 maggio 1990, Scriptorium Claravallense, Milano 1993, p.86).

[48] ): Il 16 nov. 1138 l'arcivescovo intervenne come arbitro nella controversia tra i canonici della cattedrale e l'abate di s. Rossore relativa ai diritti sulla selva del Tumulo (Tombolo). Secondo il Mattei, erudito pisano del sec. XVIII, l'arcivescovo sosteneva la causa dell'abate di s. Rossore poiché il documento addotto dai canonici gli pareva sospetto. Un decennio più tardi, e forse non a caso dopo la morte dell'arcivescovo (1147), i canonici ottennero la selva in donazione da Corrado III «selva tamen omni ratione et iustitia monasteri sancti Ruxorii». Ora al Mattei va obiettato che nel 1138 la disputa non riguardava la selva di s. Rossore, bensì, come si è detto, si trattava del «tumulus» (Tombolo). Le due località, oggi nettamente distanti perché si trovavano, la prima immediatamente a nord dell'Arno dai dintorni di Pisa fin presso la sua foce, e la seconda ad una decina di chilometri a sud del corso del fiume, già nel sec. XII sembravano infatti chiaramente individuate con due nomi diversi. Inoltre dal documento del 1138 si può soltanto desumere che la questione fu rinviata, non già che fu decisa a favore dell'abate di s. Rossore. - (cfr. Dizionario Biografico degli Italiani. Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani. Roma, 1963, Vol V, p. 530).

[49] ): il 18 nov. 1140 B. interveniva nella competizione legale tra la Pieve di Pugnano (località situata ai piedi delle colline nord-orientali di Pisa a una decina di chilometri dalla città) e il monastero cittadino di s. Paolo per la riscossione delle decime tra pugnano e Ripafratta. Nel documento vien detto esplicitamente che la decima apparteneva in origine alla consorteria nobiliare dei Ripafratta, residente appunto nelle vicinanze di Pugnano. Una sua parte (e probabilmente la maggiore) doveva essere passata, per lascito o per donazione, a questi due enti religiosi che se la disputavano. Un quarto di quella porsione veniva ora assegnato all'arcivescovo della pieve di Pugnano: «quartam portionem decimationis nobilium virorum de Ripafracta, que iure dabetur clericis et baptismalibus ecclesiis»; il resto al monastero di s. Paolo. Un altro problema relativo a questo documento sta nella identificazione del monastero di s. Paolo, poiché due erano le chiese pisane dedicate al nome di questo santo; s. Paolo a Ripa d'Arno e s. Paolo all'Orto. Tuttavia possiamo presumere che si trattasse del primo dei due poiché nel sec. XII indubbiamente esso aveva una maggiore importanza, e poiché sappiamo che era stato confermato un diritto di decime appunto a questo monastero dal vescovo pisano Gerardo (1080-1085) e poi da papa Eugenio III (7 febbr. 1147). Il 19 ott. 1142 l'arcivescovo emana una sentenza arbitrale in merito ad una controversia esistente tra due Comuni rurali del territorio costiero a sud di Livorno: quelli di Vada e di Rosignano, a proposito di tagliar la legna nella selva Asca, situata presso Vada. La decisione finala andava a vantaggio degli uomini di Rosignano. ­- (cfr. Dizionario Biografico degli Italiani. Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani. Roma, 1963, Vol V, p. 530). 

[50] ): cfr. Claudio Casini, Santorale Pisano - santi e beati in una raccolta di disegni. Pisa ETS 1993, p. 50.